Balze avventaro sui Titani un membo
Coll’aspre mani, e li accecâr coi dardi;
E vinti li cacciâr sotto la vasta
Terra, e li avvinser di ferrati nodi
Benchè sì forti, e tanto in giù, di quanto
Dista dal cielo il suol chè spazio eguale
La terra e il negro Tartaro divide.
Chè un ferreo masso nove giorni e nove
Notti precipitar dovria dal cielo
Per giungner nel dì decimo alla terra;
E al decimo del par quel ferreo masso
Dal suol darebbe nel tartareo fondo.19
Claustro di bronzo il tartaro ricinge,
Ed al suo collo in triplicato cerchio
La notte incombe, e in cima i fondamenti
V’hanno la terra e il pelago infecondo.
Laggiù l’adunator dei nembi chiuse
I divini Titani in cupo buio;
Soggiorno di squallor, dell’ampia terra
Recesso estremo. D’ogni scampo è morta
Per lor la speme: chè Nettun vi estrusse
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