Gli sortì minister Giove sagace.
E di ferree ritorte ad un dirupo
Legò Prometeo, il multiforme ingegno,
E un’aquila mandò dai larghi vanni,
Che il fegato immortal gli divorasse;
Il qual di tanto ognor crescea la notte,
Quanto l’immane augel struggeane il giorno.
Ma d’Alcmena piè-vaga il forte figlio
Ercol la spense, e tolse al rio martoro
Il buon Giapezio, e rinfrancogli il core;
Non lo vietando il sommo Olimpio Nume,
Che d’Ercole Teban volea cresciuta
La gloria, onde alle genti era già conto.
Tanto in pregio ei teneva il chiaro figlio,
Che per lui pose giù l’odio e lo sdegno,
Che in sen gli accese il dì, ch’osò di senno
Contendere con lui, sommo Cronide.
Chè il dì che sorse tra mortali e Divi
Gara in Mecone,14 con audace mente
D’ingannarlo avvisò col porgli avanti
Due parti, a scelta, d’un gran bue diviso.
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