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qualche allegorica allusione; il che a que’ tempi era costume di quasi tutti gli scrittori, e bene spesso del nostro Dante. In essa appariscono a maraviglia tutte in ristretto le dottrine politiche dell’Autore, a segno che la direi quasi un preliminare della sua Monarchia allora probabilmente ideata, e poco tempo dopo composta e data al pubblico. Io mi rimarrò contento all’avere qui fatto questo solo cenno, e l’altro espresso nell’argomento che la precede, lasciando ad ingegni più atti lo scrutinare se in quella s’intendesse ad altri significati diversi con immagini simboliche od arcani concepimenti in mistico linguaggio convenzionale1; i quali in ogni modo non saprebbesi a qual utile applicazione rivolgere per lo scopo mio, ch’è quello solamente di offrire le Minori Opere dell’Allighieri nella miglior possibile lezione, e giovate di opportuni letterarii sussidii, perchè insieme riunite sieno preparazione e avviamento alla intelligenza del grande Poema, in esse chiudendosi appunto i semi di quel divino lavoro2.

XVI. Quanto all’Epistole a Cino da Pistoja ed a Cangrande, delle cui versioni sono da più anni tenuto alla preziosa amicizia del ch.

  1. In un mio scritto preliminare alla Vita Nuova (1836), pubblicato già dal Giornale Pisano de’ Letterati 1839, n.º 105, esposi ciò che fin d’allora io pensava delle idee del ch. sig. Gabriele Rossetti nell’interpretare quello, che disse Dante di Beatrice nella citata sua operetta giovanile, e poi nelle Rime, nel Convito e nel Poema. Ora il prelodato filologo si occupa a ridurre in tre «Ragionamenti critici» tutto il suo sistema di dottrine intorno a questo particolare sparse nel Comento alla Cantica dell’Inferno (Londra 1826, vol. 2. in 8.º); nelle «Disquisizioni sullo spirito antipapale che produsse la Riforma, e sulla segreta influenza ch’esercitò nella letteratura d’Europa e specialmente d’Italia, come risulta da molti suoi classici, massime di Dante, Petrarca e Boccaccio» (ivi, 1832 in 8.º); e nel «Mistero dell’amor platonico del medio evo derivato da’ misteri antichi» (ivi 1840, vol. 5 in 8.º). A me quindi non è conceduto per adesso aggiunger altro, fino a tanto che non sia venuta in luce l’intera opera sua, della quale potei leggere soltanto la prima parte finora venuta in luce (ivi 1842, in 12.º) col titolo «La Beatrice di Dante», rimanendo ammirato alla vasta e varia sua erudizione, all’arguto ragionare, alla faconda e lucida esposizione de’ suoi pensamenti.
  2. In fatti non altro io mi proposi, lasciando da parte ogni filosofica speculazione *), che di rappresentare in una sola edizione tutto quello che di meglio nelle precedenti si contiene, o che raccolsi per altri ajuti, onde gli studiosi non fossero costretti a procurarsi una moltiplicità di volumi, alcuni de’ quali assai rari e difficili a rinvenirsi, ove fosse loro occorso di consultarli per notizie o riscontri, e per conoscere ciò che da altri si fosse pensato e scritto intorno alle Prose e alle Rime del nostro Autore, e ad illustrazione di questo o quel luogo di dubbio o controverso significato.
    *) È noto che altri ricco di dottrina è già entrato in questo campo, coqliendovi eletta messe, della quale il pubblico desidera vivamente d'esser fatto partecipe. Vedi «Un preludio al corso di lezioni su Dante Alighieri» (di Silvestro Centofanti). Firenze, coi tipi della Galileiana, 1838 in 8.º