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la meccanica | 243 |
Volendo istituire una analisi dei fatti supposti dalla legge del moto, conviene anzitutto richiamare le circostanze dello sviluppo storico che vi ha condotto.
L’acquisto è, come dicemmo, il frutto di una induzione, per cui la legge del moto dei gravi di Galileo venne estesa da Newton al caso di forze qualsiansi variabili (caso cui si riferiscono numerosi studii di Huyghens).
La formulazione di Newton è contenuta nelle due leggi seguenti:
Lex I. Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi umformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur statum illum mutare.
Lex II. Mutationem motus esse proportionalem vi impressa, et fieri secundum lineam rectam qua vis illa imprimitur.
La Lex I esprime quel principio d’inerzia cui il Mach osserva Galileo essere stato condotto come a caso limite, dallo studio del moto dei gravi sul piano inclinato.
La Lex II viene interpretata come esprimente da sola l’equazione generale del moto
f = m ω,
la quale nella sua espressione matematica comprende, per f = 0, la Lex I. Onde vi è qui, pel Mach, un difetto di sovrabbondanza!
La nostra veduta è un po’ diversa.
Anzitutto crediamo che per comprendere lo spirito della sistemazione newtoniana occorra eliminare il concetto affatto recente che la legge del moto sia una definizione dinamica della forza.
Per Newton la legge suddetta doveva esprimere una relazione fra due elementi che egli riguardava come già noti: la forza da un lato, e il prodotto della massa per l’accelerazione dall’altro.
Ma in qual modo poteva egli ritenere come nota la forza, se non sotto l’aspetto statico?
Se si ammette che la forza di cui si parla nella Lex II sia definita staticamente, la Lex II stessa assume un significato più ristretto dell’equazione differenziale
f = m ω
resta infatti determinata a priori una delle costanti arbitrarie dell’integrale, in rapporto al sistema di riferimento. E per restituire alla legge tutta la gene-