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la meccanica | 227 |
la constatazione sensibile di essa come effetto muscolare, si compie in modi diversi per un corpo in moto, a seconda della velocità con cui la nostra mano accompagna (e ritarda) il movimento. Aggiungasi ancora l’influenza dell’attrito nella trazione sopra la terra, per cui la forza traente appare sensibilmente proporzionale alla velocità del moto.
Da tutto ciò emerge che la prima idea, suggerita da un grossolano empirismo, conduce al principio aristotelico delle forze proporzionali alle velocità; soltanto un’analisi penetrante ha potuto condurre alla scoperta che le forze sono in relazione, non colle velocità, ma colle accelerazioni impresse.
Ora come si è fatta la correzione?
Vi è qui un problema storico da investigare più profondamente. Galileo riconobbe la falsità del principio aristotelico? Certo almeno nei suoi studii sulla caduta dei gravi è implicitamente considerata una forza (la gravità) come indipendente dal movimento e si riconosce che essa è proporzionale all’accelerazione.
Ma la questione cui si collega lo sviluppo dello stesso concetto di forza, riesce chiarita ove si richiami il dibattito sopravvenuto fra le scuole di Des Cartes e di Leibniz, «se la velocità (v) o il suo quadrato debba prendersi come misura di una forza agente sopra un punto mobile».
Sappiamo oggi che sussiste la proporzione di Des Cartes se si considerano forze costanti (f) agenti durante un certo tempo (t), e quella di Leibniz se ci si riferisce a forze agenti per un certo cammino (s) del mobile. Le quantità
f t = m v
ed
hanno ricevuto rispettivamente i nomi di «quantità di moto» e «forza viva»; la prima misura l’impulso della forza, la seconda l’energia cinetica (E) acquistata dal mobile o il lavoro compiuto.
Differenziando la prima delle due equazioni soprascritte si ottiene la equazione fondamentale di Newton
differenziando la seconda si avrebbe un’altra equazione