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Il Re assisteva sempre alla messa la domenica, non al Sudario, ma in una cappella alla Villa Ludovisi, che aveva in affitto fino che non fosse terminata la villa Potenziani fuori di Porta Salara.
Nonostante le commedie alla Villa Massimo, recitate dalle due Lavaggi, da donna Flaminia Torlonia, da donna Maria di Gallese e da molti giovinetti del patriziato, e i ricevimenti in casa Pallavicini e alla Legazione di Prussia, dove andavano i Principi Reali, il carnevale non fu molto brillante. Poche mascherate, poco brio, poco concorso di signore. Quelle baldorie incominciavano a noiare, qui come erano già venute a noia nel resto d’Italia. L’arrivo della giovine Corte e di tanta gente da altre provincie, aveva infuso al carnevale una vita fittizia per quattro anni, passati i quali ritornava a languire. Nuovi bisogni e più seri distraevano Roma da quelle baldorie a epoca fissa. La più bella festa di quell’anno fu data dai Teano, una festa in costume, alla quale intervenne il principe Umberto, vestito da Carlo Emanuele I, insieme con i suoi ufficiali d’ordinanza nel costume di gentiluomini piemontesi di quel tempo. La Principessa Reale era vestita come la sua antenata, la celebre Margherita di Savoia. Intervennero alla festa tutte le dame del patriziato, che non portavano lutto per la prigionia del Papa, e tutte le mogli dei ministri stranieri, non esclusa la marchesa di Noailles, che abitava al palazzo Farnese.
Il duca di Sermoneta in quell’inverno fece di nuovo parlar di sè. Egli era andato a stabilirsi a Firenze e alla sua tarda età riprese moglie.
Anche il principe Doria si ritirò dalla vita pubblica, dando le dimissioni da Senatore del Regno. Quell’atto servì in certo modo di compenso al dolore cagionato al Papa e ai clericali dal principe Torlonia.
Pio IX non era punto pago; i cattolici non rispondevano come egli avrebbe voluto, all’invito di venire a Roma per usufruire delle indulgenze bandite in occasione dell’Anno Santo; venivano i pellegrini, ma scarsi, e fra di essi nessun personaggio di molto conto. Per allettarli a venire in febbraio scende nella Basilica di San Pietro, dopo un ricevimento; ma ne fa chiudere le porte per dimostrare la sua sovranità. Il Papa non era più sceso nella Basilica dal 19 settembre 1870 e quel fatto menò rumore e si credè che fosse l’inizio di una rinunzia alla prigionia volontaria, ma non fu così.
Le inaugurazioni non mancarono. Si ebbe quella dell’Istituto per i ciechi «Margherita di Savoia» al quale il municipio aveva concesso un locale nelle Terme Diocleziane ov’è ancora. La Principessa, che erasi tanto adoprata per vederlo sorgere, volle inaugurarlo e fu ricevuta e guidata nella visita dal Duca di Fiano, che ne era presidente. Quell’istituto è tuttora uno dei meglio regolati e dei più provvidamente benefici, che sia a Roma, ove la beneficenza è così estesa.
Alla Principessa fu pure ceduto il convento di S. Rufina in Trastevere per istituirvi la scuola, che porta il nome di lei, ed alla quale ella in parte provvide. Fondare ricoveri, aprire scuole nei quartieri più popolati, promuovere l’istruzione della donna, dando tutto il suo appoggio alla Scuola Superiore Femminile alla Palombella e all’istituzione, che le era sorta a fianco, ecco la cura costante della Augusta Signora nella sua prima giovinezza, cura di cui non si è mai stancata. Ella è costante nel fare il bene, come è costante nei propositi e negli affetti, e per questo Roma non si stanca di amarla e benedirla.
Il 6 marzo fu inaugurato il tempio massonico in via della Valle. I lavori erano stati eseguiti dall’ingegnere Landi. Naturalmente si attendeva Garibaldi, ma egli aveva avuto una ricaduta e si fece rappresentare da Menotti. Presiedeva la festa il Grande Oriente d’Italia, Giuseppe Mazzoni, e fu fatta fra i numerosissimi intervenuti da ogni parte del mondo, una colletta a benefizio dell’Istituto dei ciechi, patrocinato dalla principessa Margherita.