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«Concittadini!

«Troppo conosco il generoso vostro sentire per permettermi parole e spiegarvi l’importanza di questo giorno.

«Roma Capitale deve più ancora d’ogni altra città far conoscere quali siano i sentimenti nazionali di devozione alla patria, di riconoscenza al Re».


Roma si era empita di gente venuta da ogni parte d’Italia per fare omaggio al Re.

Vittorio Emanuele, la vigilia della festa, ricevè il corpo diplomatico, guidato dal signor Marsh, ministro degli Stati Uniti e decano del corpo. Ogni capo di missione gli presento, insieme con gli augurii, una lettera autografa del proprio Sovrano. Quelle degli Imperatori di Germania, di Russia, d’Austria erano affettuosissime.

Il ricevimento durò quasi due ore, e vi assisteva anche il marchese di Noailles, nuovo ministro di Francia, che era venuto a Roma con una missione pacificatrice.

Alle 8 del 2; tutta la Guardia Nazionale era sotto le armi, numerosissima, e faceva ala dalla piazza SS. Apostoli al Quirinale. Sulla porta del Palazzo stava schierato lo squadrone a cavallo.

Le carrozze delle deputazioni erano così numerose, che in breve riempirono il cortile della Reggia e una parte della piazza già affollata dal popolo.

Nello stesso tempo sulla piazza del Campidoglio si ordinava il corteo del Municipio. Insieme con l’assessore Galletti, che faceva le veci del sindaco, erano tutti gli assessori, tutti i consiglieri, e i commissari dei rioni preceduti dalle bandiere. Apriva la marcia la banda e due compagnie di vigili in alta tenuta. Seguivano le due carrozze di gran gala del municipio, scortate dai fedeli a piedi nel loro pittoresco costume. In quelle due carrozze vi erano gli otto assessori e dietro venivano altre carrozze col Consiglio. La musica delle guardie municipali precedeva le bandiere dei 14 rioni, scortate da due compagnie di guardie. Altre guardie scortavano i commissari dei rioni. Il corteggio era chiuso da un drappello di guardie rurali a cavallo.

Il Re era nella sala del trono; vestiva l’uniforme di generale ed era circondato dalla sua Casa civile e da quella militare, e dai ministri. Le deputazioni incominciarono ad essere introdotte alle 10 dai cerimonieri di Corte. Entravano dalla sala da pranzo e uscivano dalla sala degli Svizzeri, ove erano schierati i corazzieri.

Erano prima introdotti i Collari dell’Annunziata e quindi i rappresentanti dell’esercito e dell’armata guidati dal decano, generale conte Enrico Della Rocca, già paggio e scudiere di Carlo Alberto, poi capo di stato maggiore di Vittorio Emanuele a Novara, e primo aiutante di campo. Il fedele soldato leggeva il seguente indirizzo:

«Sire!

«Se l’anzianità negli anni e talvolta ingrata, è pur talvolta venturosa: ed oggi è per me venturosissima, poichè dopo avere avuto la fortuna di assistere ai natali di V. M., e dopo avervi seguito sempre su tutti i campi delle patrie battaglie, ove vi siete acquistato il nome sopra tutti invidiabile di valorosissimo Primo Soldato dell’indipendenza italiana, mi è dato, insieme ai primi capi militari, di salutarvi, e complimentarvi a nome dell’esercito e dell’armata per cinque lustri compiuti di regno. E furono 2; anni di fatti così meravigliosi e così propizi alla Nazione, che non trovano riscontro nelle storie antiche e moderne.

«Sire!

«In questo fausto giorno, che di unanime sentimento l’Italia ha proclamato di festa nazionale solennissima, l’armata e l’esercito, per voce nostra, vi offrono le espressioni della loro devozione a tutta