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Le quali cose mi aprono dirittamente il cammino a pronunciare, Che noi zelatori di libertà, e per ciò stesso bisognosi di independenza, dobbiamo studiar modo potente, non che a sgominare il nimico nella guerra attuale, a sbandeggiarlo per sempre dalla magnifica cerchia che il dito della Natura ha per noi designata. —
Questo spediente, o Signori, altri vel pose dinanzi. Federate l’Italia: ragunate nell’Italia l’esercito federale. —
Non io presumo decidere se nella urgenza delle presenti necessitadi, — quando a spoltrire Roma e Firenze non sono ancora bastate le grida di Bologna e Livorno, chiedenti ai governi che provvedessero aiuti alla nostra guerra, — quando i cannoni di Napoli, anzichè sieno aggiustati di fronte all’Austriaco, sfolgorano la eroica Messina e minacciano la invitta Palermo; — non io presumo decidere se le armi di Carlo Alberto, poco meno che sole al cimento, abbiano virtù da purgare la terra che geme sotto la scure barbarica. Forse alquanto ne giova il nembo addensatosi sulla Lamagna; e, fermamente, la impresa sarebbeci guarentita se i nostri vicini d’oltre Pirene scendessero a liberare la fede altra volta giurata sui campi italici; scendessero a combattere nelle nostre schiere, come i nostri soldati pugnarono sotto i vessilli di Napoleone.
Ma, o sia che i soldati del Re vincano questa guerra per lo solo loro valore, o coll’aiuto d’altrui; potremmo noi riposarci sui còlti allori? o non avremmo piuttosto a temere ogni dì che il nimico, ristorate le sue ferite, non ritenti ancora il conquisto delle nostre regioni?
Per dileguare sì acerbo timore occorrerebbe, la prima cosa, pregare a Dio che transformi la Italia, e ce la torni men bella. Ma questa preghiera non muoveremo giammai. — Oh resti bella la Italia: bella del sorriso del suo cielo, delle sue ubertose pianure, dei colli che la ingemmano, de’ mari che la baciano: bella delle irte sue torri, dei magni suoi monumenti, e delle sue mille città: bella dello splendore de’ suoi figliuoli, e della gentilezza delle sue donne: bella dell’armonia di questa lingua divina, che