queste non sono stati essi soli per molti secoli superstiziosi, ed ostinati seguaci dell’autorità d’un maestro, ma ristringomi al solo poetare. Un Petrarca, siccome vedete, n’ha prodotti infiniti: un Dante poco meno di lui multiplicò se stesso; un Poema romanzesco fe’ nascere una nuova Epica di Romanzo, e di Cavalleria non solamente, ma un Orlando eziandio altri Orlandi produsse, e generò. Chi può dire le fecondità della Pastorale e dell’Egloga in questo clima d’Italia? Il Sannazaro fece Egloghe, il Tasso una Pastorale, ed ognuno formò a gara pastori, e ancor pescatori su que’ modelli. Chi può numerare gli Aminta e i Pastorfidi sotto nomi diversi veduti al mondo? Così il Trissino per la Tragedia, altri per la Comedia, per li Ditirambi, per li Drammi, e per ogni altra maniera di poesia o seria o faceta, o grande o piccola, o lunga o breve, son padri di prole somigliantissima, ed innumerabile. Io parlo della moltitudine de’ Poeti, che in Italia han nome d’illustri. Poiche v’ha pure alcuno, il quale o per noja di servitù, o per talento vivace, e per amore di gloria leva il capo tra loro, e scuote il giogo. Ma nel tempo medesimo un’altro n’impone ad una nuova setta, che da lui prende il nome, lo stile, e il pensare, che l’adora, e l’antipone ad ogni altro; tanto è necessario ai Poeti italiani un qualche idolo: così il Marini un secolo intero ha veduto nascer da se, così quelli, che il simolacro atterrarono del Marini, un’altro n’alzarono a lor seguaci del settecento, e mirate qual furore d’imitazione fu quel del Petrarca, che rialzarono, e all’adorazione proposero, ai voti, all’ostinatezza del secol loro. Onde ciò venga principalmente non è difficile a intendere chi conosca l’Italia. Occupazione vi manca, e vi soprabbondan talenti. Di