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Lettera Sesta 37

maschi e femmine? In mente ne venne di distribuirci la briga, e di prendere ciascuno di noi qualche libro di que’ Poeti a leggere e ad esaminare. Greci e Latini furon tosto occupati, quanti ve n’erano intorno ad un libro di rime, ad un canzoniere, ad un volume di poesie, e vi fu alcuno di noi meschini, che si trovò un tomo in foglio tra mano tutto d’amor Petrarchesco.

Leggevam tutti attentamente, nè molto andò, che qua e là già miravasi sul volto de’ leggitori cert’aria di maraviglia, e a quando a quando degl’indizj di noia, e di sazietà. Fu il primo Catullo, che per natura insofferente, e nimico di lunga applicazione gittò da sé il libro, e questo, disse, questo è pur il Petrarca, il suo stile, il suo metro, il suo amor, la sua Laura, infin lui stesso sotto nome d’un altro. Il mio pur, dissero tosto molti d’accordo, il mio Poeta non altri egli è che il Petrarca. Qui v’ha qualche inganno, soggiunser altri, perché già non può darsi tanta sciocchezza in un uom ragionevole, che pretenda avere fama di buon poeta copiando un altro, o che tanto sfrontato pur sia, che per l’opera sua pubblichi l’altrui fatica veggendolo ognuno. Allor cominciarono a leggere or l’uno or l’altro de’ canzonieri toccati loro a sorte, e in verità non distinguevansi dal Petrarca, fuor solamente in quel languore, e in quella insulsaggine che nel linguaggio esser suole d’una finta ed imitata passione rimpetto a quel veemente e caldo sfogo d’un cuor acceso per viva fiamma. Parea strano capriccio quello di tanti, che per far versi credettero necessario di fingersi innamorati, o fecero versi per aver fama in amore. Latini e Greci esprimevano lo stupor loro in varie guise. Noi tutti, dicevano, abbiam cantato, ed amato: ma