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12 | Lettera Terza |
Ai Legislatori della nuova Arcadia P. Virgilio, Salute.
Eravam ragunati Greci e Latini per leggere dopo tanti alcun Maestro Poeta d’Italia, che col suo stile ci consolasse dell’incoltezza deforme della divina Comedia; ed io già stava per cominciare, quando improvviso levossi e gridò Giovenale:
- Nec mi aurum posco, nec mi pretium dederitis
- nec cauponantes bellum, sed belligerantes...
e seguia pur con tai versi, e con papiri vecchissimi tra le mani vociferando, se Orazio non accorrea per farlo tacere. E che? rispose il Satirico; poiché vi piace dormire al suon de’ versi di Dante, non è più giusto far questo onore a que’ di Ennio e di Lucilio, che furono i nostri Danti? Bene strano ei sarebbe, se i bisavoli della nostra poesia non ottenesser da noi quella venerazione, e quello studio che gl’italiani riscuotono sin dopo cinque secoli dai lor pronepoti. Io m’impegno di risuscitare la fama loro a dispetto della durezza, della rusticità, dell’oscurità del lor non inteso linguaggio. Ci farò tanti comenti d’attorno, e a fronte, e a tergo, che ne verrà un gran volume. Le allegorie ne’ passi più strani, un calepino di voci antiquate alla mano, i titoli di divina all’opera, ed altri simili ajuti con una setta di lapidarj, di antiquarj, e d’accademici dal mio partito, che voglian essere poeti malgrado