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quali persistettero a credere il sepolcreto di Villanova d’altra età e di quei Celti ai quali i primi due appropriano gli

    556 della nostra città col nome di Felsina, tolta ai Boi, comincia a dirla Bononia nell’anno 573, ossia dopo che fu colonizzata dai Romani (lib. 33 cap. 37.).
    Nè già col fine di muover dubbi sul gallicismo della tomba di Sesto Calende, ma per rendermene più persuaso, avrei bramato che il ch. illustratore avesse prodotto qualche argomento che dimostrasse bastare le spoglie opime del re Viridaro recate al tempio di Giove Feretrio dal console Marcello, o qualche altro esempio di Galli elmati e loricati, per non essere indotti in perplessità dal morione e specialmente dalle ocree della tomba di Sesto Calende poste a confronto coll’asserzione di Dione (lib. 35. cap. 50): Galli... nudo pugnant capite: con l’altra di Dionigi (presso il Mai Collect. Vatic, t. 2. pag. 490) nuda pectora et latera, nuda femora et crura usque ad pedes, nullum praeter scutum, tegumentum: coll’aes-grave riminese (Cf. nella egregia Stor. di Rimini del cav. Tonini la tav. A e la lettera del Borghesi a pag. 27. e segg.) e coi bassi rilievi del sarcofago della vigna Ammendola (Ann. dell’Inst. di corr. arch. tav. XXX e XXXI dei Monum.) che ci fan vedere anch’essi i Galli combattenti a capo scoperto, nè d’altro schermo provveduti che dello scudo. Così Polibio, narrando la battaglia presso Telamone (lib. 2. cap. 28.), dice che gl’Insubri ed i Boi schieraronsi in brache e con leggeri saj in dosso e che i Gesati gettarono via tali vestiti e ignudi si posero colle armi nelle prime file. Soggiunge che tutti i Galli i quali erano nelle prime insegne andavano ornati di collane e di smaniglie, ma non parla d’altre armi difensive che dello scudo. E così pure Claudio Quadrigario nella descrizione del duello con Tito Manlio poi detto Torquato, conservataci da A. Gellio (lib. 9. cap. 13.), racconta che Gallus quidam nudus, praeter scutum et gladios duos, torque armillis decoratus processit. Avrei dico bramato qualche valevole argomento, anche perchè manca nella tomba l’usato torque con anomalia tanto più grave quanto che il sepolto non è un gregario ma un condottiero, e perchè non mi rassecura pienamente ciò che il ch. autore stabilisce sulla possibile conservazione dei metalli esposti all’umidità sotterranea. Vale a dire che oggetti di bronzo e di ferro, in parte esili, possano resistere in tali condizioni per venti secoli e mezzo, attribuiti da lui alla tomba anzidetta, ma non già per venticinque, ch’egli calcola sarebbero corsi se si trattasse d’una tomba etrusca. Parendomi di più che si potesse anche obbiettare non esservi necessità di stabilire quest’intervallo di quattro secoli e mezzo, da che i Galli, o cacciassero o soggiogassero gli Etruschi, ad ogni modo si trovarono a contatto con loro. Ne la costruzione della tomba di soli ciottoli può aversi per caratteristica dei Galli, bastando accennare che non di rado la si rinviene nella necropoli di Marzabotto «le cui costruzioni e i cui oggetti (come di-