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318 | della geografia di strabone |
che fra gli Artabri, che sono le ultime genti della Lusitania a ponente ed a settentrione, la terra è sparsa di un fior d’argento e di stagno, e di quello cbe dicesi oro bianco per essere mescolato coll’argento. Cotesta polve, soggiunge, la portano i fiumi; e le donne la raccolgono con rastrelli, poi la lavano facendola passare per cannicci collocati sopra un cestello. Questo dice Posidonio intorno alle miniere.
Polibio facendo menzione di quelle che sono presso a Cartagine nuova, dice che sono grandissime, a venti stadii dalla città. Che abbracciano un circuito di quattrocento stadii, dove stanno quaranta mila lavoratori, i quali al suo tempo producevano al popolo romano venticinque mila dramme ogni giorno. E qui io passo sotto silenzio tutte le altre operazioni che a dirsi sarebbero troppo lunghe. Egli poi dice che la gleba d’argento raccolta si rompe e si crivella in istacci sull’acqua: poi di nuovo si rompe quel che rimane e crivellasi ripetutamente; finchè liquefacendosi ciò che resta la quinta volta, il piombo svanisce, e ne riesce un argento puro. Sussistono ancora quelle miniere d’argento, ma nè quivi nè in altri luoghi non appartengono più alle Comuni, e si sono cambiate in possedimenti di cittadini privati. Qualle dell’oro invece sono tuttavia popolari per la maggior parte. Quivi poi, a Castalona1, ed anche in alcuni altri luoghi avvi un metallo d’una specie particolare; ed è un piombo fossile, a cui si trova frammista una piccola quantità d’argento, non tanta
- ↑ Caslona.