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22 | PROLEGOMENI |
dizio Polibio, e piú di lui severissimo Strabone. Per giudicare oggidì rettamente e Pitea e gli accusatori suoi, uopo sarebbe avere intera l’opera sua; ma di essa rimasero soltanto pochi frammenti, conservatici da Plinio, il quale spesso non intendeva quanto leggeva negli scrittori greci, e da Strabone, la cui severità inspira naturalmente temenza in chiunque voglia essere imparziale. Non è, a cagion d’esempio, strano che Polibio, e Strabone il quale riferisce la testimonianza di Polibio (129), neghino il viaggio di Pitea, perchè Pitea era {dicono essi) uomo privato, povero, e per conseguenza non atto alla spesa di lungo viaggio, come se molto più giusto e più probabile non fosse stato per essi il supporre che egli fu inviato a spese del Comune dei Marsigliesi, i quali ricchi, dediti al commercio, potenti in mare, e sovra tutto rivali de’ Cartaginesi, desiderarono naturalmente aver notizia e comunicazione con luoghi lontani. Allorché le città o i governanti, abbisognano di chi soddisfaccia a tal desiderio, non eleggono il più ricco, ma il più idoneo dei cittadini.
Detto ho che Plinio spesso non intendeva i greci scrittori, nè l’ho io detto pel primo. Bastami l’esempio, innanzi me indicato da altri (130), per mostrare al lettore, quanto sia pericoloso il portare un giudizio allorché appoggiasi sulle testimonianze, e non sul proprio sentimento dei giudicanti. Pitea, giusta le parole di Plinio (131), dice che nella Tule il giorno era di sei mesi, e di sei mesi la notte. Ciò veramente accade nel Polo, dove Pitea nè andò, nè andar poteva; e se della Tuie avesse così favellato, sarebbe la sua