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60 DELLA CONDIZIONE GIURIDICA

dici eloquentissimamente?»1. Il Dolce, nel mentre si fa a delineare un sistema di educazione e di vita per le fanciulle, per le donne maritate e per le vedove, ispirato ai più elevati principii della purità, della modestia, della virtù domestica, dell'abnegazione, e ripone il sommo della perfezione della donna maritata nella soggezione al marito e nell'immedesimarsi completamente con lui, vuole però che le donne siano largamente istruite, perchè e veruna femmina dotta sia stata impudica»2, e propone che esse abbiano famigliarità col Vecchio e col Nuovo Testamento, con sant'Ambrogio, sant'Agostino e san Gerolamo, con Platone e con Seneca, con Virgilio e Omero, con Cicerone, Livio, Sallustio, Curzio e Svetonio, e fra i moderni con Dante, col Petrarca, e colle opere del Bembo, del Sannazaro e del Castiglione3, affinchè, serbando pure concordia perfetta col marito, abbiano in casa tanta autorità da essere «donne e reine»4. Il Piccolomini propugna francamente la tesi che le donne non solo non sono inferiori all'uomo in facoltà, ma «sono anzi molto più perfette che l'uomo»5, e quanto alla superiorità morale adduce il l'atto, che quantunque le donne siano «più inclinate naturalmente agli appetiti che gli uomini», nondimeno resistono assai più degli uomini alle innumerevoli seduzioni, di cui sono con-

  1. Ib., p. 181.
  2. Ib., p. 14.
  3. Ib., p. 18-20.
  4. Ib., p. 50. — In questo dialogo del Dolce sono pur notevoli i passi nei quali l'autore invoca una legge che obblighi le madri ad allattare i loro figliuoli (p. 7);, propone che si istruiscano le ragazze nel mentre si trastullano, adoperando balocchi da cui possano ricavare utili cognizioni, idea riprodotta ai giorni nostri dal Froebel (p. 01), consiglia anche alle donne di più alto stato, di non sdegnare le umili faccende della casa, e neppure la cucina (p. 13), ripone la verginità principalmente nell'animo, chiamandola condizione più morale che fisica (p. 20), biasima l'uso o del belletti e dei troppi profumi (p. 26-30), e ripudia l'usanza delle troppo ricche doti (p. 33).
  5. Ib., p. 30.