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DELLE DONNE 213

manzeschi. Il secolo decimosesto e il decimosettimo furono più degli altri ossequiosi al sesso femminile non meno per bocca dei letterati, che per bocca degli accademici.

In quei secoli la letteratura italiana, nel mentre avea perduto quasi affatto quella vigorìa ed originalità, che Dante aveva insegnato col suo esempio doversi attingere dal patriotismo, dal contatto coi reali bisogni della nazione, e dalla scienza, lussureggiava nello splendor della veste e in ogni fiore di gentilezza, ad esempio delle Corti, vane bensì, ma culte e raffinatissime, di quel tempo. Niuna meraviglia adunque che l'elogio delle donne sia stato un tema assai frequente fra letterati e poeti d'ogni e valore, e che accanto a futili belati, e ad accademiche quisquilie d'amore1, quel nobile tema abbia

  1. Il Dialogo d'amore di Sperone Speroni (V. sotto), benché finisca con una apologia del matrimonio, non si tiene però all'altezza delle idee platoniche di Dante, di Petrarca, del Benivieni e del Mirandolano. Vere quisquilie accademiche sono le discussioni di Guido Casoni nella Magia d'amore (Venezia, Buglioni, 1622), dove prova come amore sia metafisico, fisico, astrologo, musico, geometra e aritmetico; — i Sei dubbi amorosi di Gian Francesco Loredano (Venezia, Valvasense, 1647): «se uno si possa innamorare di persona assente leggendone le composizioni — se si possa amare pudicamente — se si possa amare senza speranza — quale sia maggior caparra di amore per parte di una donna — che cosa ricerchi amore — se a nobil donzella disdica scoprire il suo amore»; al primo dubbio, al secondo e all'ultimo risponde di sì; al secondo, no; al quarto risponde: il suo ritratto, e al quinto: amore; — di maggior valore sono: Gli Asolani del BemboIl Molza o Dialogo dell'amore, di Torquato Tasso (Opere ed. di Pisa, voi. III) — il dialogo dell'Infinità di amore, di Tullia d’Aragona (ed. Daelli, Milano 1864), in cui la novella Aspasia fa propugnare dal Varchi non essere vero amore quello che si estingue col soddisfacimento, ed essa fa l'elogio della Venere celeste in confronto della Venere terrestre; e l'opera di Mario Equicola D'Alveto, Di natura d'amore.(Venezia, Bonfadino 1587), nel quale domina un platonismo alquanto equivoco. L'Equicola vi sostiene altresì la tesi che «le donne sono atte a tutte le virtù, non altrimenti che l'uomo» (c. 302). — L'Orsola Cavalletti Bertolaja di Ferrara combattè la tesi di T. Tasso che l'uomo ama più intensamente e stabilmente della donna; tesi combattuta anche da Tullia d'Aragona (v. più avanti) e da Equicola (id.), il quale dice che l'uomo ama più intensivamente, e la donna più estensivamente. — Muzio Manfredi di Parma cantò con versi sdolcinati e artificio di concetti Cento donne del suo tempo (Parma, Viotti, 1580).