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l’uopo presente soddisfaccia. I fatti essendo proprietà comune degli scrittori, e la guisa di scorgerli particolare a ciascuno, noi li considereremo con quella onesta fiducia che è lontana del pari dalla pusillanimità e dall’arroganza, e seguiteremo il nostro autore ne’ suoi traviamenti con la libertà che a noi rende esente da pericolo una così grande distanza d’opinioni e di tempi, e con quell’imparziale sentimento, che norma essendo d’ogni giustizia, non può non essere in singolar modo accetto a chi d’ogni giustizia è fonte ed autore.

Il mondo romano che con sofferente obbedienza, ma con viva sollecitudine veduto avea alcuni anni prima sei principi disputarsi ad un tempo la signoria di lui2, abbandonare finalmente potevasi alla speranza, che una lunga domestica pace, procacciato gli avrebbe la stabile successione della numerosa prole di Costantino. Senonchè questo principe guerriero astuto, privato senza virtù, e di pubbliche virtù simulatore, carattere vario, bugiardo, di parli ripugnanti composto, sondò una nuova capitale, diffuse una nuova religione, perfezionò nuovi ordinamenti politici, il tutto però più inteso ad appagare la personale sua vanità ed a rendere il principato assoluto, che a rassodare la vacillante mole della romana potenza. La stessa sospettosa politica, di cui fu primo institutor Diocleziano, che persuaso avealo ad assicurarsi dell’obbedienza delle provincie col rendere in esse permanenti gli eserciti, a creare le divine gerarchie dello Stato, a scemare il nerbo e la forza delle legioni, a rendere comuni a’ barbari le più illustri dignità della repubblica, la colpevole arte in somma