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332 storia della letteratura italiana


O come:

                               Passato è il tempo, Enea,
che Dido a te pensò.
     


La sua sortita contro Arbace, quasi nello stesso punto che gli aveva promessa la sua mano, quel cacciar via da sé Osmida e Selene nella cecitá del suo furore, le sue credulitá, le sue dissimulazioni, le sue astuzie; tutto ciò è tanto piú comico quanto è meno intenzionale, contemperato co’ moti piú variati di un’anima impressionabile e subitanea: sdegni che son tenerezze, e minacce che sono carezze. C’ è della Lisetta e della Colombina sotto quel regio manto. E tutto il quadro è conforme. Iarba con le sue vanterie e le sue pose rasenta il bravo della commedia popolare; Selene, ch’è l’«Anna, soror mea», rappresenta la parte della «patita» con molta insipidezza; e il pio Enea nella sua parte di «amoroso» attinge il piú alto comico, massime quando Didone lo costringe a tenerle la candela. Il nodo stesso dell’azione ha l’aria di un intrigo di bassa commedia, co’ suoi equivoci e i suoi incontri fortuiti.

La Didone fece il giro de’ teatri italiani. E dappertutto piacque. Metastasio indovinava il suo pubblico e trovava se stesso. Quel suo dramma, a superficie tragica, a fondo comico, coglieva la vita italiana nel piú intimo: quel suo contrasto tra il grandioso del di fuori e la vacuitá del di dentro. Il tragico non era elevazione dell’anima, ma una semplice fonte del maraviglioso, cosi piacevole alla plebe, come incendii, duelli, suicidii. Il comico riconduceva quelle magnifiche apparenze di una vita fantastica nella prosaica e volgare realtá, piccoli intrighi, amori pettegoli, stizze, braverie. Concordare elementi cosi disparati, fondere insieme fantastico e reale, tragico e comico, sembra poco meno che impossibile : pure, qui è fatto con una facilitá piena di brio e senz’alcuna coscienza, com’ è la vita nella sua spontaneitá. L’illusione è perfetta. Una vita cosi fatta pare un’assurditá: pure è lá, fresca, giovane, vivace, armonica e t’investe e ti trascina. Il povero Metastasio, inconscio del grande miracolo, si difendeva con Aristotele e con Orazio: alle vecchie critiche si