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172 storia della letteratura italiana


coglie il mondo nel suo immediato, ma a traverso i libri. Lavora sopra il lavoro, raffina, aguzza immagini e concetti: la qual forma nella sua esterioritá meccanica egli la chiama il «parlare disgiunto»; ed è un «lavoro di tarsie», come diceva il Galilei. Cercando l’effetto non nell’insieme ma nelle parti, e facendo di ogni membretto un mondo a sé, raffinato e accentuato, le giunture si scompongono, l’organismo del periodo si scioglie, e vien fuori una specie di parallelismo: concetti e immagini a due a due, posti di fronte in guisa che si dieno rilievo a vicenda. Il fondo di questo parallelismo è l’antitesi, presa in un senso molto largo, cioè una certa armonia che nasce da oggetti simili o dissimili posti dirimpetto, come:


                               Molto egli oprò col senno e con la mano,
molto soffri nel glorioso acquisto:
e invan l’inferno a lui s’oppose, e invano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto.
     


Quel «molto» e quell’«invano» sono il ritornello di una cantilena chiusa in se stessa ed esaurita nell’espressione di un rapporto tra due oggetti. Naturalmente, cercando l’effetto in quel rapporto, l’intelletto vi prende parte piú che non si convenga a poeta, e riesce nel raffinato e nel concettoso, come:


                               Oh di par con la man luci spietate!
essa le piaghe fe’, voi le mirate.
     


Questo parallelismo, fondato sopra ritornelli di parole, ravvicinamenti di oggetti e straordinarietá di rapporti, non è un accidente: è il carattere di questa forma con gradazioni piú o meno spiccate. E non attinge solo i pensieri, ma anche le immagini, come:


                                                                  ... e par che porte
lo spavento negli occhi e in man la morte.
     


L’immaginazione nelle sue contemplazioni ha sempre ai fianchi un pedagogo, che analizza e distingue con logica precisione, come:


                               Sparsa è d’armi la terra, e l’armi sparte
di sangue, e il sangue col sudor si mesce.