Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1912 – BEIC 1807957.djvu/171


xvii - torquato tasso 165


quando vuol darvi uno sviluppo puramente dottrinale e religioso, come nelle prime parole di Sofronia, che hanno aria di una riprensione amorevole fatta da un confessore a un condannato a morte, o nelle parole di Piero a Tancredi, che hanno aria di predica. La sua anima candida e nobile la senti piú nelle sue imitazioni petrarchesche e platoniche che in ciò che tira dal fondo dottrinale e tradizionale religioso. Sofronia, che fa una lezione a Olindo, ricorda Beatrice che ne fa una simile, e piú aspra, a Dante: ma Beatrice è nel suo carattere, è tutta l’epopea di quel secolo, ci è in lei la santa, la donna ed anche il dottore di teologia; Sofronia è rigida, tutta di un pezzo, costruzione artificiale e solitaria in un mondo dissonante, perciò appunto esagerata nelle sue tinte religiose, a cominciare da quella «vergine di giá matura verginitá» per finire in quel bruttissimo:


                                                             ... ella non schiva,
poi che seco non muor che seco viva.
     


In questa eroina, martire della fede, non ci è la santa con le sue estasi e i suoi ardori oltremondani, e non ci penetra il femminile con la sua grazia e amabilitá. È uscita dal cervello concetto cristiano con reminiscenze pagane e platoniche. Colui che l’ha concepita pensava a Eurialo e Niso, a Beatrice e a Laura. La creatura è rimasta nel suo intelletto, e non ha avuto la forza di penetrare nella sua coscienza e nella sua immaginazione cosi com’era, nel suo immediato. Il che avviene quando la coscienza e l’immaginazione sono giá preoccupate e non conservano nella loro verginitá le concezioni dell’ intelletto. Se è vero che, concependo Sofronia, il Tasso pensasse a Eleonora, è una ragione di piú che ci spiega l’artificio e la durezza di questa costruzione. Perciò Sofronia è la meno viva e la meno interessante fra le donne del Tasso, e non è stata mai popolare. Ma Sofronia è umanizzata da Olindo, il femminile, in un episodio dove l’uomo è Sofronia: Olindo diviene eroe per amore, come altri diviene eroe per paura. Il suo carattere non è la forza: qualitá estranea al tempo ed al Tasso, e che senti cosi bene in quel sublime: «Me me, adsum qui feci, in me convertite ferrum»,