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xvii - torquato tasso 153


Pure, poeticamente, ciò che desta il maggiore interesse non è il pio Enea, ma l’abbandonata Didone. Nella leggenda cristiana il paradiso perduto e il peccato di Adamo sono argomenti epici, ne’ quali erompe la vita nella violenza de’ suoi istinti e delle sue forze. Nella passione e morte di Cristo l’interesse poetico giunge al suo piú alto effetto tragico, perché è il martirio della veritá. In Dante questo concetto, preso nella sua logica perfezione, produce l’astrazione del paradiso e l’intrusione dell’allegoria; come nel Tasso produce l’astrazione del Goffredo. Si confondeva il vero poetico, che è nella rappresentazione della vita, col vero teologico o filosofico, che è un’astrazione mentale o intellettuale della vita. L’Ariosto se la cava benissimo, perché canta la follia di Orlando; e, quando viene la volta della ragione, volge il fatto a una soluzione comica e piccante, mandando Astolfo a pescarla nel regno della luna. Il Tasso vuol restaurare il concetto nella sua serietá, e, mirando a quella perfezione mentale, gli esce l’infelice costruzione del Goffredo e la fredda allegoria della «donna celeste».

Non è meno errato il suo concetto della vita epica. Ciò che lo preoccupa è la veritá storica, il verisimile o il nesso logico, e una certa dignitá uguale e sostenuta. E non vede che questo è l’esterno tessuto della vita o il meccanismo, il semplice materiale con appena la sua ossatura e il suo ordine logico. Il suo occhio critico non va al di lá, e, quando il poeta morí e sopravvisse il critico, esagerando questi concetti astratti e superficiali, guastò miserabilmente il suo lavoro, e ci die’, nella Gerusalemme conquistata, di quella ricca vita il solo scheletro, il quale, perché meglio congegnato e meccanizzato, gli parve cosa piú perfetta.

Ma il Tasso, come Dante, era poeta ed aveva una vera ispirazione. E la spontaneitá del poeta supplí in gran parte agli artifici del critico.

Torquato Tasso, educato in Napoli da’ gesuiti, vivuto nella sua prima gioventú a Roma, dove spiravano giá le aure del concilio di Trento, era un sincero credente, ed era insieme fantastico, cavalleresco, sentimentale, penetrato ed imbevuto di tutti