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xii - il cinquecento | 399 |
Scrivere romanzi diviene un mestiere: l’epopea ariostesca è smembrata, e i suoi episodi diventano romanzi. Sei ne scrive Lodovico Dolce tra’ quali Le prime imprese di Orlando. Il Brusantini ferrarese canta Angelica innamorata, il Bernia canta Rodomonte, il Pescatore Ruggiero, e Francesco de’ Lodovici Carlo magno. Romanzi con la stessa facilitá composti, applauditi e dimenticati. Accanto agl’imitatori del Petrarca e del Boccaccio sorgono gl’imitatori dell’Ariosto.
Il mondo ariostesco nel suo lato positivo si collega con l’idillio, e nel suo lato negativo con la satira e la novella.
Dal Petrarca e dal Boccaccio al Poliziano l’idillio è la vera musa della poesia italiana, la materia nella quale lo spirito realizza l’ideale della pura forma, l’arte come arte. In quella grande dissoluzione sociale la poesia lascia le cittá e trova il suo ideale ne’ campi, tra ninfe e pastori, fuori della societá, o piuttosto in una societá primitiva e spontanea.
Lá trovi quell’equilibrio interiore, quella calma e riposo della figura, quella perfetta armonia de’ sentimenti e delle impressioni che chiamavano l’«ideale della bellezza» o della «bella forma». Questo spiega la grande popolaritá delle Stanze, dove questo ideale si vede realizzato con grande perfezione. Sono imitazioni la Ninfa tiberina del Molza e il Tirsi del Castiglione. Nella Ninfa tiberina hai di belle stanze: Euridice in fuga con alle spalle l’innamorato Euristeo è cosi dipinta:
La sottil gonna in preda ai venti resta, e col crine ondeggiando indietro torna. Ella, piú ch’aura o piú che strale presta, per l’odorata selva non soggiorna, tanto che ’l lito prende snella e mesta, fatta per la paura assai piú adorna. Esce Aristeo la vaga selva anch’egli, e la man par avergli entro i capegli. Tre volte innanzi la man destra spinse per pigliar de le chiome il largo invito; tre volte il vento solamente strinse, e restò lasso senza fin schernito. |