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xi - le «stanze» | 379 |
ingenio esset hominum cum quadam effectum elegantia, id «prope divinum» dicebat... Gemmis, floribus ac locis praesertim amoenis visendis, nonnumquam ab aegritudine in bonam valetudinem rediit.
Quest’uomo, che alla vista della bella natura si sente tornar sano, che sta lí fisso a contemplare l’aspetto decoroso di una vecchiezza sana e intera, che chiama «divina» l’opera elegante dell’ingegno e sente voluttá a contemplare le belle forme, aggiunge a questa squisita idealitá un senso cosí profondo del reale, che gli rende familiari gli arcani della natura e anche della storia, come mostrò nelle lettere a Paolo Toscanelli, dove predice con molta sagacia parecchi avvenimenti: le future sorti di principi e di pontefici e i moti delle cittá. Indi è che nelle sue pitture trovi precisione tecnica, veritá di colorito e grande espressione: è una realtá finita ed evidente, che mostra nelle sue forme impressioni e sentimenti. Veggasi nel Governo della famiglia la pittura della vita villica, e la descrizione del convito, e quella maravigliosa scena di famiglia, dove Agnolo, veggendo la sua donna tutta pinta e impomiciata, dice: — «Tristo a me! e ove t’imbrattasti cosí il viso? Forse t’abbattesti a qualche padella in cucina? Laveraiti, ché quest’altri non ti dileggino. — Ella m’intese e lagrimò. Io le die’ luogo ch’ella si lavasse le lagrime e il liscio». Dello stesso genere è la pittura de’ giocatori nella Cena di famiglia e nella Deiciarchia, e il ritratto nel Teogenio della vita quieta e felice di Genipatro, nel quale intravvedi Battista: