da’ suoi mecenati, e il Boccaccio vivea de’ rilievi della corte di Napoli, comicamente imbestiato quando il mantenimento non era dicevole a un par suo, disposto da’ buoni o da’ cattivi cibi al panegirico o alla satira. Tale è il tipo di ciò che in questo mondo boccaccevole è chiamato «la virtú»: una liberalitá e gentilezza d’animo, che dalle castella penetra nelle cittá e fino ne’ boschi, asilo de’ masnadieri, della quale sono esempio Natan, e il Saladino, e Alfonso, e Ghino di Tacco, e il negromante di Ansaldo. Questo, se non è propriamente senso morale, è pur senso di gentilezza, che raddolcisce i costumi e spoglia la virtú del suo carattere teologico e mistico, posto nell’astinenza e nella sofferenza, le dá aspetto piacevole, piú conforme ad una societá colta e allegra. Vero è che, siccome il caso, regolatore di questo mondo, ne fa di ogni maniera, talora l’allegria che vi domina è funestata da tristi accidenti che turbano il bel sereno. Ma è una nuvola improvvisa, la quale presto si scioglie e rende piú cara la vista del sole, o, come dice la Fiammetta, è una «fiera materia, data a temperare alquanto la letizia». Volendo guardare piú profondamente in questo fenomeno, osserviamo che la gioia ha poche corde, e sarebbe cosa monotona, noiosa, e perciò poco gioiosa, come avviene spesso ne’ poemi idillici, se il dolore non vi si gittasse entro con le sue corde piú varie e piú ricche d’armonia, traendosi appresso un corteggio di vivaci passioni: l’amore, la gelosia, l’odio, lo sdegno, l’indignazione. Il dolore ci sta qui non per sé, ma come istrumento della gioia, stuzzicando l’anima, tenendola in sospensione e in agitazione, insino a che per benignitá della fortuna o del caso comparisce d’improvviso il sereno. E quando pure il fatto sorta trista fine, com’è in tutti i racconti della giornata quarta, l’emozione è superficiale ed esterna, esalata e raddolcita in descrizioni, discorsi e riflessioni, e non condotta mai sino allo strazio, com’è nel fiero dolore di Dante. Sono fugaci apparizioni tragiche in questo mondo della natura e dell’amore, provocate appunto dalla collisione della natura e dell’amore, non con un principio elevato di moralitá, ma con la virtú cavalleresca, «il punto d’onore». Di che bellissimo esempio, oltre il Gerbino, è il Tancredi,