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storia della letteratura italiana |
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anch’essa un istrumento del maraviglioso, condotta ad una esagerazione che scopre nell’autore il vuoto della coscienza ed il difetto di senso morale. Esempio notabile è la Griselda, il personaggio piú virtuoso di quel mondo, la quale per mostrarsi buona moglie soffoca tutti i sentimenti della natura e la sua personalitá e il suo libero arbitrio. L’autore, volendo foggiare una virtú straordinaria che colpisca di ammirazione gli uditori, cade in quel misticismo contro di cui si ribella e che mette in gioco, collocando l’ideale della virtú femminile nell’abdicazione della personalitá, a quel modo che, secondo l’ideale teologico, la carne è assorbita dallo spirito e lo spirito è assorbito da Dio. Si rinnova il sacrificio di Abramo, e il Dio che mette la natura a cosí crudel prova è qui il marito. Similmente la virtú in Tito e Gisippo è collocata cosí fuori del corso naturale delle cose, che non ti alletta come un esempio, ma ti stupisce come un miracolo. Ma virtú eccezionali e spettacolose sono rare apparizioni, e ciò che spesso ti occorre è la virtú tradizionale di tempi cavallereschi e feudali, una certa generositá e gentilezza di re, di principi, di marchesi, reminiscenze di storie cavalleresche ed eroiche in tempi borghesi. La qual virtú è in questo: che il principe usa la sua potenza a protezione dei minori, e soprattutto degli uomini valenti d’ingegno e di studi e poco favoriti dalla fortuna, come furono Primasso e Bergamino, verso i quali si mostrarono magnifici l’abate di Cligny e Can Grande della Scala. Cosí è molto commendato il primo Carlo d’Angiò, il quale, potendo rapire e sforzare due bellissime fanciulle figliuole di un ghibellino, amò meglio dotarle magnificamente e maritarle. La virtú in questi potenti signori è di non fare malvagio uso della loro forza, anzi di mostrarsi liberali e cortesi. Giá cominciava in quel mondo a parer fuori una classe di letterati, che viveva alle spese di questa virtú, celebrando con giusto cambio una magnificenza della quale assaporavano gli avanzi. L’anima altera di Dante mal vi si piegava, né gli fu ultima cagione d’amarezza quel mendicare la vita a frusto a frusto e scendere e salire per le altrui scale. Ma i tempi non erano piú all’eroica; e il Petrarca si lasciava dotare e mantenere