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progresso: una piú esatta conoscenza dell’antichitá, un gusto piú fine e un sentimento artistico piú sviluppato, una disposizione meno alla fede che alla critica e all’investigazione, minor violenza di passioni, maggiore eleganza di forme: l’idolo di questa societá dovea essere il Petrarca, nel quale riconosceva e incoronava se stessa. Ma sotto a quel progresso v’era il germe di una incurabile decadenza, l’infiacchimento della coscienza.

Il Canzoniere, posto tra quei due mondi, senza esser né l’uno né l’altro, cosí elegante al di fuori, cosí fiacco e discorde al di dentro, è l’ultima voce, letteraria, rettorica ed elegiaca, di un mondo che si oscurava nella coscienza. I contemporanei applaudivano alla bella forma, e non cercavano e non si appassionavano pel contenuto, come avveniva con la Commedia.

Quel mondo, divenuto letterario e artistico, anche un po’ rettorico e convenzionale, non rispondeva piú alle condizioni reali della vita italiana. Quel misticismo, quell’estasi dello spirito, che si rivela un’ultima volta con tanta malinconia e tenerezza nel Petrarca, era in aperta rottura con le tendenze e le abitudini di una societá colta, erudita, artistica, dedita a’ godimenti e alle cure materiali, ancora nell’intelletto cristiana, non scettica e non materialista, ma nella vita giá indifferente e incuriosa degli alti problemi dell’umanitá. Il linguaggio era lo stesso, ma dietro alla parola non ci era piú la cosa. Questo era il segreto di tutti, quel qualche cosa non avvertito e non definito, ma che pur si manifestava con tanta chiarezza nella vita pratica. E colui che dovea svelare il segreto e dargli una voce letteraria non usciva giá dalle scuole: usciva dal seno stesso di una societá che dovea cosí bene rappresentare.

Tutti i grandi scrittori erano usciti dall’universitá di Bologna: Guinicelli, Cino, Cavalcanti, Dante, Petrarca.

Giovanni Boccaccio, nato il 1313, nove anni dopo il Petrarca e otto prima della morte di Dante, «non pienamente avendo imparato grammatica», come scrive Filippo Villani, «volendo e costringendolo il padre per cagione di guadagno, fu costretto ad attendere all’abbaco, e per la medesima cagione a peregrinare».