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ix - il «decamerone» 273


Ma è uno stato di tensione e di disquilibrio che non può aver durata. L’arte, la coltura, la conoscenza e l’esperienza della vita lo modificano e lo trasformano.

L’arte, impossessandosi di questo mondo, lo umanizza, lo accosta all’uomo e alla natura, lo mescola di altri elementi, vi fa penetrare le passioni e i furori del senso. Non ci hai ancora equilibrio; non ci hai qualche cosa che sia la vita nella sua intimitá, insieme paradiso e inferno; ma giá di rincontro al paradiso hai l’inferno, i rincontro a Beatrice hai Francesca da Rimini, e di rincontro a Dante, simbolo dell’umanitá, hai Dante Alighieri, l’individuo in tutta la sua personalitá. Nel Canzoniere quel mondo si spoglia pure le sue forme natie, teologiche, scolastiche, allegoriche, e prende aspetto piú umano e naturale.

E se fosse durato ancora un pezzo nella coscienza, non è dubbio che l’arte vi si sarebbe compiutamente sviluppata; e come la visione e la leggenda divenne la Commedia, come Selvaggia divenne Beatrice, e Beatrice Laura, dal seno de’ misteri sarebbe uscito il dramma, e molti generi di letteratura, ancora iniziali e abbozzati giá nella Commedia, sarebbero venuti a maturitá, come l’inno e la satira. Ma giá quel mondo nel Canzoniere non ha piú il calore dell’entusiasmo e della fede, e in quelle forme cosi eleganti lascia una parte della sua sostanza. Il sentimento religioso, morale, politico vive fiaccamente nella coscienza del poeta; e il posto rimasto vuoto è occupato dall’arte.

Questo infiacchirsi della coscienza, questo culto della bella forma fra tanta invasione di antichitá greco-romana, sono i due fatti caratteristici della nuova generazione, che succede all’etá virile e credente e appassionata di Dante. Quegli uomini non si appassionano piú per le dottrine e non cercano il vero sotto i «versi strani»: la «bella veste» li appaga. I loro studi non hanno piú a guida l’investigazione della veritá, ma l’erudizione: c’è il sapere per il sapere, come l’arte per l’arte. I Fiori, i Giardini, i Conviti, i Tesori, dove la sapienza sacra e profana era usata a scopo morale, dánno luogo a raccolte semplicemente storiche ed erudite. Ci sono ancora gli scolastici, che chiamano il Petrarca un «insipiente»; ma le loro querele si sperdono nel plauso


F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - i.

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