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vii - la «commedia» 241


Dichiarata la sua fede, consacrato e incoronato, Dante si sente oramai vicino a Dio. Avea giá contemplata la divinitá nella sua umanitá, il Dio-uomo. Il trionfo di Cristo, la festa dell’Incarnazione, sembra reminiscenza di funzioni ecclesiastiche, co’ suoi principali attori, Cristo, la Vergine, Gabriello. Cristo e la Vergine sono, come nel santuario, invisibili; la festa è tutta fuori di loro e intorno a loro. Succede il trionfo degli angioli, e poi nell’empireo il trionfo di Dio.

L’empireo è la cittá di Dio, il convento de’ beati, il proprio e vero paradiso. Beatrice raggia si, che il poeta si concede vinto, piú che tragedo e comico superato dal suo tema, e desiste dal seguire

                                    piú dietro a sua bellezza poetando,
come all’ultimo suo ciascun artista.
     

Ivi è la luce intellettuale, che fa visibile

                                    lo Creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.
     

La luce ha figura circolare, come il giallo di una rosa, le cui bianche foglie si distendono per l’infinito spazio, e sono gli scanni de’ beati. San Bernardo spiega e descrive il maraviglioso giardino. Il punto che piú splende è lá dove sono

                                    gli occhi da Dio diletti e venerati,      

dove è la Vergine e gli angioli. Quel punto è la pacifica orifiamma del paradiso, la bandiera della pace. Il giardino, la rosa, l’orifiamma sono immagini graziose, ma inadeguate. Queste metafore non valgono la stupenda terzina, dove san Bernardo è rappresentato in forma umana e intelligibile:

                                         Diffuso era per gli occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio,
quale a tenero padre si conviene.
     

Il paradiso, appunto perché paradiso, non puoi determinarlo troppo e descriverlo senza impiccolirlo. La sua forma adeguata è il sentimento, l’eterno tripudio: ciò che è ben còlto in quella