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Beatrice, dottissima in teologia, si mostra non meno dotta nel maneggio della caricatura e dell’ironia, frustando i predicatori plebei di quel tempo:

                                         Ora si va con motti e con iscede
a predicare; e pur che ben si rida,
gonfia ’l cappuccio, e piú non si richiede.
     

Giustiniano conchiude il suo nobilissimo racconto dei casi e della gloria dell’antica Roma con fiere minacce ai guelfi, nemici dell’aquila imperiale. Papa e monaci sono i piú assaliti. San Tommaso, dette le lodi di san Francesco, riprende i francescani, e san Benedetto i benedettini, e san Pietro il papa. Tutt’i re di quel tempo mandano sangue sotto il flagello di Dante. Non si può attendere da’ santi alcuna indulgenza alle umane fralezze. La satira è acerba; la sua musa è l’indignazione, e la sua forma ordinaria è l’invettiva. Le forme comiche sono uccise ‘n sul nascere e si sciolgono nel sarcasmo. Il sarcasmo non è qui né un pensiero né un tratto di spirito, ma pittura viva del vizio, con parole anche grossolane, come «cloaca», che mettano in vista il laido e il disgustoso. Il vizio è còlto, non in una forma generale e declamatoria, ma lá, in quegli uomini, in quel tempo, sotto quelli aspetti, con pienezza di particolari ed esattezza di colorito. Capilavori di questo genere sono la pittura de’ benedettini e l’invettiva di san Pietro.

Questo contrapposto tra il cielo e la terra non è altro se non l’antitesi che è in terra tra i buoni e i cattivi, e, per scendere al particolare, tra l’etá dell’oro del cristianesimo e i tempi degeneri del poeta; è il presente condannato dal passato, è il passato messo in risalto dal suo contrasto con la corruzione presente. Ci erano i benedettini, ma ci era stato san Benedetto; ci era Bonifazio e Clemente, ma ci era stato san Pietro e Lino e Cleto e Sisto e Pio e Calisto e Urbano. Gli uomini di quell’aurea etá piú illustri per santitá e per scienza sono qui raccolti, come in un pantheon; è il mondo eroico cristiano, succeduto a quel mondo eroico pagano stato descritto nel limbo, e di cui Giustiniano fa il panegirico in paradiso.