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vii. situazioni petrarchesche i37


La penna gli cade di mano, resta pensoso, e la poesia si continua nel suo capo:

                                              Canzone, i’ sento giá stancar la penna
Del lungo e dolce ragionar con lei.
Ma non di parlar meco i pensier miei.
     
Alcuni impeti in mezzo ad un generale rilassamento, e negli stessi impeti non so che di lento e misurato, che ne allontana il disordine e vi conserva bellezza e grazia: ecco il carattere di queste tre canzoni. E son quelle, in cui il poeta ha mostrato piú d’energia.

La vita del Petrarca è piú ricca delle sue poesie, tutte amorose, salvo alcuni sonetti e canzoni politiche. L’immenso orizzonte di Dante, che ti spaventa di maraviglia, s’è trasformato in un bel paesaggio, grazioso a vedere.

Nella materia politica si richiede una seria e virile ispirazione, ed è qui soprattutto che possiamo studiare la forza dell’animo e dell’ingegno petrarchesco.

Ben so che alcuni estetici oggi, patrocinatori dell’arte pura, declamano contro le poesie politiche: come se il puro, si parli d’arte, di religione, o di filosofia, non fosse qualcosa d’astratto, fuori della vita. L’idea, quale si sia la sua forma, dee impregnarsi del reale, farsi uomo, con le sue debolezze, ed i suoi dolori. I momenti storici dell’idea non sono altro che i diversi gradi di questo passaggio. L’arte pura è un’utopia.

Ciò che si dee domandare al poeta è che, calando nel reale, non vi stagni, non vi s’insozzi; che vi guardi inviolata la libertá dello spirito e il sentimento dell’arte. Ora il torto del Petrarca è il contrario: è di non essere abbastanza immerso nella realtá politica, di guardarla da lontano, senza confondervisi e senza parteciparvi, ma dandosi tutta l’apparenza d’una appassionata partecipazione: onde nasce quel fattizio e rettorico, che ti rivela un’ispirazione poco seria, in gran parte letteraria. Si può chiamarlo l’antitesi di Dante: in costui il particolare spesso prevale troppo, e talora rimane vuoto e prosaico; nell’altro il