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88 | saggi critici |
uomini e delle cose, non avea quella calma di giudizio, che bastasse a spiegarseli ed acconciarvisi, come fanno i piú. Il vero patriota, non che starsi in disparte coi denti ringhiosi, maledicendo tutta la societá, vi si mescola, e la il bene che può, pur rimanendo lui. Ma le illusioni erano state troppo vive, e il disinganno troppo violento, e la tempra dell’uomo non era comune. Foscolo aveva preso sul serio tutte quelle massime di dignitá, di virtú, di gloria, cose allora in quella loro idealitá da teatro e da scuola. I suoi contemporanei volevano pure quelle cose, ma fino a un certo punto, cioè secondo la possibilitá de’ tempi, e senza molto loro incomodo, anzi pescavano nel torbido posti e quattrini, ancorché vi dovessero lasciare una parte della loro dignitá personale e delle loro massime. Questo sembrava abbominevole a Foscolo: e all’urto di una realtá tanto disforme, quando tutti piegavano, lui dié indietro e si chiuse in sé. Rimase solo, accanto a Parini ed Alfieri. Ma Parini nella solitudine serbava quella sua calma di uno spirito sano e indulgente; la solitudine di Alfieri era orgoglio e disdegno, con uno sguardo dall’alto su di un mondo ignobile; erano le statue colossali del secolo decimottavo, irrigidite sul loro piedistallo. Foscolo era ancora in uno stato di formazione, cosí giovane, fra bisogni della vita cosí stringenti, in tanta veemenza di passioni, con tanto «furore di gloria», e non far nulla, e sentirsi solo, e sentire giá il peso della vita, e pensare al suicidio!
Che se pur sorge di morir consiglio, A mia fiera ragion chiudon le porte Furor di gloria e caritá di figlio. |
Stanco m’appoggio or al troncon d’un pino, Ed or prostrato ove strepitan l’onde Con le speranze mie parlo e deliro. |