Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/94

[ 29 ]

DELL’ARGOMENTO DELLA «DIVINA COMMEDIA»


La critica antica non comprese, non poteva comprendere Dante; la Divina Commedia stava troppo al di sopra, troppo fuori delle sue regole. Avvezza a giudicare secondo certi modelli, non seppe qual luogo assegnare ad una poesia cosí originale. E, ponendo la forma nella elocuzione e nella lingua, che sono i semplici suoi mezzi materiali, trovò che la forma era ancor cruda e rozza. Il che spiega la sua predilezione per il Petrarca e l’obblio nel quale dopo un’ammirazione inintelligente cadde la Divina Commedia. Si citava ancora, si ammirava come per un tacito accordo. «Sit Divus, ne sit vivus.». Continuarono a chiamarla «divina», ma non la lessero piú.

La scuola moderna è stata in principio sotto il nome di romantica, parziale, sistematica; ora l’esagerazione è finita. Alzatasi dalla polemica ad unitá superiore, in luogo del rispetto tradizionale e passivo per gli antichi, ha in noi destata una conscia ammirazione verso di quelli; ha ristorata l’autoritá delle regole divenute un cieco dommatismo, col riaccostarle ai loro principi] generatori; ed ha insieme combattuta T imitazione degli antichi e richiesto nell’arte la veritá e la freschezza della vita moderna. Ritirando la critica dalle quistioni accessorie, nelle quali s’era impicciolita, l’ha sollevata alla contemplazione dell’arte nella sua sostanza e ne ha fatta una scienza. Ha proclamata la veritá e l’indipendenza dell’arte e la libertá delle forme.