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«fedra» di racine 3

a casaccio. Un critico t’istituirá un parallelo, ti fará della moralitá di una tragedia un caso di Stato, ti sosterrá il carattere moderno della Fedra francese; e non si accorge il valente uomo ch’egli spazia fra luoghi comuni, che queste quistioni, che una volta aveano il loro interesse, non hanno piú un senso oggi, e che egli accozza e confonde ciò che appartiene a diversi ordini d’idee.

Voi m’istituite de’ paralleli: biasimate la Mirra, perché non rassomiglia alla Fedra; la Fedra francese, perché è diversa dalla greca. Ma questa critica a paralleli oggi è un esercizio accademico, un mezzo comodissimo per riempire con poca fatica le lunghe appendici dei «Débats» e del «Siècle», un seicentismo critico, discorsi brillanti tutto a rapporti ed a concetti. Il parallelismo ebbe il suo significato, quando la critica aveva per fondamento certe regole e certi esemplari, con cui si ragguagliavano tutte le opere d’arte: furono i tempi dell’autoritá o della tradizione. Quel criterio non è piú riconosciuto, ma è rimasto il mal vezzo di far paralleli. Ho mostrato in un mio giudizio intorno alla Mirra, quanto sia diversa la concezione alfíeriana da quella di Racine, non ci essendo di simile che il fatto materiale, un amore incestuoso. Janin vuole che la Fedra sia il modello, e che la Mirra debba rassomigliare a quello. Che nasce da questi paragoni assurdi? Il critico vede la superficie, i lati esterni e comuni per i quali i due lavori si toccano, e non ciò che ciascuno ha di proprio, la personalitá, che è solo sé stessa, incomunicabile ed incomparabile. Ora, in questa personalitá, in questa vita interna è il sostanziale di un lavoro.

Voi chiedete se la Fedra è una tragedia morale. Questa quistione fa parte di un altro sistema. Si credette un tempo che la poesia fosse un mezzo per insegnare ed emendare «delectando». Dante, Tasso, Gravina, Zanotti, Boileau appartengono a questa scuola, alla scuola dell’«utile dulci», della «dottrina che s’asconde Sotto il velame dei versi strani», del «vero condito in molli versi». Ma è giá un secolo che si predica contro a questa dottrina: né ci è trattato di estetica, il cui primo capitolo non ragioni dell’indipendenza dell’arte: leg-