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il farinata di dante 299

Qui si sente che il foco dell’ ira è montato sul viso di Dante, e che per la sua bocca parlano i suoi antenati. Farinata avea detto: — Li dispersi « per due fiate », — appoggiandovi sopra la voce; e Dante gli ritorna quel plurale distinto in due singolari, « l’una e l’altra fiata »; e qual sarcasmo nell’ultimo verso, dove in quell’«arte mal appresa» di ritornare in patria si sente un comico serio, che presuppone in chi parla un riso, ma un riso amaro!

«Arte mal appresa» è uno di quei motti che restano inchiodati nella mente e non si dimenticano piú. Il motto è lanciato, e Farinata l’ha raccolto.

Ma in questo rapido cambio di parole, tra botta e risposta, ecco sorgere dalla tomba il Cavalcanti, il padre di Guido, l’amico e il compagno di Dante.

Farinata avea chiesto: — «Chi fur li maggior tui?» — Dante risponde esser egli Dante degli Alighieri. Questo nome, che avea destata l’ira di Farinata, sveglia ben altra impressione in colui che gli giaceva accanto, nel padre di Guido. Egli pensa: — Dante e Guido sono amici, compagni, amendue di alto ingegno. Se Dante è qui e vivo, forse anche qui è Guido, il figlio mio — ; e si leva in ginocchione a guardare:

                                    D’ intorno mi guardò, come talento
Avesse di veder s’altri era meco;
Ma poi che il sospecciar fu in tutto spento,
     Piangendo disse: Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d’ ingegno,
Mio figlio ov’ è? e perché non è teco?
                         

Ai contemporanei che aveano innanzi la storia di Guido e di Dante, questi versi dovettero suscitare molti sentimenti e idee e memorie per noi perdute: Dante stesso dovè scriverli con grande commozione, perché, se al mille trecento, epoca del suo viaggio allegorico, Guido era ancor vivo, quando scriveva, era morto. E dovè pensare che per suo consiglio Guido fu mandato in bando; che se potè farlo rivenire a Firenze, fu troppo tardi, perché morí pochi giorni dopo della malattia contratta nel-