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l’«armando» di giovanni prati 205


Le forme soprannaturali evocate dal poeta appartengono a tutte le mitologie, e sono apparizioni dello spirito infermo, che pure mantengono un lato obiettivo, rappresentando il bene ed il male, la salute e la malattia, la natura e lo spirito, quell’antagonismo insoluto che è l’enigma del mondo e la malattia di Armando.

-Ma in materia d’arte il concetto è nulla: la forma è tutto.

E la forma è falsa.

Il vizio della forma è in questo che il poeta, volendo abbattere questo mondo di Goethe, di Byron, di Leopardi, divenuto il mondo della malattia, in luogo di prendere le sue ispirazioni e le sue forme nelle fresche aure di una realtá sana e robusta, creare la poesia nuova, dove il malato rimanesse estraneo e perpetuamente contraddetto, ha preso ad imprestito le sue forme da quello stesso mondo contro il quale impreca.

Quel mondo è qui riprodotto non nella sua grandezza derivata dalla sua originalitá e sinceritá, ma in ciò che ha di piú difettoso.

Il proprio di quel mondo è la possanza di fantasia, per la quale ciò che ci è di piú etereo ed impalpabile, acquista carne e polpa, e simula tutta l’apparenza della vita reale. E perciò è arte.

Amleto, Fausto, Mefistofele, Margherita, Manfredo, Consalvo sono non pensieri figurati, ma creature proprie e vere: sotto al discorso e al sentimento c’ è sempre la rappresentazione, il mondo còlto nell’atto della vita.

Non è il pescatore che canta meccanicamente canti d’amore, ma è amore rappresentato: non ci è 1’ invalido, reminiscenza di Waterloo, ma ci è Waterloo.

Certo, nel Fausto abbiamo allegorie accanto a vive e vere rappresentazioni; ma sono la parte meno lodevole del poema, e se li hanno un certo valore per la novitá e la freschezza de’ concetti e delle forme, qui perdono anche ogni importanza, divenuti quei concetti e quelle forme luoghi comuni.

Il Prati ha tenuto un processo, che mi par proprio la negazione dell’arte. In luogo di dare a’ suoi fantasmi tutta l’appa-