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poesie di sofia sassernò 299

domina, è l’angoscia del sentirsi sola in questo mondo; e l’autrice vi ritorna parecchie volte.

                          Mon berceau fut sans jeux, ma vie est sans bonheur,
                    Ma jeunesse sans rêve.
Voyez autour de moi pomt de fraîches oasis,
                    Mais le désert sans bornes...
Cornine un agneau perdu sur le bord du chemin
                              Et qui cherche sa mère,
Moi j’erre seule, hélas, sans qu’on tende la main
                              A ma douleur amère...
Je n’ai pas de foyer, d’enfant, dont le baiser
                    Rayonne sur ma vie,
Pas de famille, hélas, dont les bras caressants
                    M’enchaînent á la terre.
Rien, rien, que l’abandon autour de moi, Seigneur,
                    Et que la solitude.
                    

Il tono di questa poesia è una tristezza stanca, ineloquente, come qualche rara volta è in Leopardi. È una stanchezza, che ammortisce ogni entusiasmo e calore poetico. Dentro l’anima vi sta come un sepolcro; niuna ricchezza e pienezza di vita: in luogo d’immagini, escono gemiti, degli «hélas».

Questa poesia è come l’aura che spira in tutte le altre; in ogni ispirazione ci è della Plainte. Ma è un grido dell’anima che rimane quasi sempre una povera interiezione, tanto piú languida, quanto piú ripetuta, che non giunge mai a conoscersi, a decomporsi, a diventare una proposizione; e, priva com’è di contenuto, di differenze, di opposizioni, a lungo andare annoia. Questo difetto di virtú creativa, questa povertá d’immaginazione e superficialitá di sentimento ti mostrano nella radice stessa della vita qualche cosa di arido.

Nella Église isolée l’autrice si sforza di uscire da questo vago di sentimenti e di porsi avanti qualche cosa di meno indeterminato; né le vien fatto. Poiché, infine, che altro è l’Église isolée, se non la Plainte recitata non a casa, ma in chiesa? Non vi è di mutato che la scena. E sta bene. Perché in questo vago è tutto