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ii8 saggi critici

essere un fantastico, un maraviglioso, e diviene la realtá, l’eterna realtá dell’inferno. Ma se il fantastico muore, rimane il patetico, anzi si accresce. Poiché la spiegazione qui non ha niente di didattico: il concetto scientifico è gittato per incidente in un verso:

Ché non è giusto aver ciò ch’uom si toglie.

Il qual concetto diviene poesia, perché Dante ne ha fatto un individuo, l’anima del suicida che racconta la propria storia dal punto che si è separata dal corpo fino al giudizio universale. Non vi è pensiero, ma azione, narrata con una vigoria ed efficacia di stile insolita. Le parole sono molto comprensive e risvegliano parecchie idee accessorie. Nel «disvelta» si sente non solo la separazione, ma la violenza e lo sforzo contro natura; nel «balestra» non solo il cadere, ma l’impeto e la rapiditá della caduta e l’ampio spazio percorso; nella parola «finestra», si sentono i sospiri ed i lamenti e il pianto che esce fuori per quel varco. E perché tanto affetto e vivacitá nella spiegazione di un fatto? Perché è un suicida che spiega la pena del suicidio, e narrando la storia dell’anima suicida ricorda insieme la sua propria storia. Nell’immaginazione di Pier delle Vigne vi è sé stesso presente: sul suo labbro vi è «un’anima»; nella sua coscienza vi è «io»: tanto che da ultimo si mescola nella narrazione: la terza persona va via, e al «parte», al «cade», al «surge» succede «verremo» e «strascineremo». Quando la spiegazione è compiuta, sembra che la situazione sia oramai esausta; ma ecco un nuovo fatto che infiamma la pietá: le spoglie del suicida appese all’albero, ch’egli si vedrá innanzi eternamente senza potersene mai rivestire. Nelle parole di Pier delle Vigne si sente una mestizia ineffabile:

     Qui le strascineremo, e per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi,
Ciascuno al prun dell’ombra sua molesta.