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«epistolario» di giacomo leopardi 5


In tanta materia di dolore vi è qualche cosa pur di sereno in queste lettere, nelle quali quanto calcato è piú, tanto si rileva piú alteramente l’uomo, maggiore della fortuna. Qualitá nobilissima ed antica: in questo fiacco secolo, non paziente de’ mali e non ardito a’ rimedii, ammirata piú che imitata. La dignitá adorna l’infortunio, come della ricchezza e della potenza è ornamento la temperanza. E questa dignitá non è posta solo in quella specie di virtú negativa, ch’è detta «decoro», ed è quel non chinarsi mai per nessuna cagione ad atto men che nobile e gentile; di che ci è esempio la delicata risposta del Leopardi alle profferte del Colletta, e quella lettera, nella quale domanda quasi la caritá al padre suo, alteramente supplichevole. Ma vi è una dignitá di altra sorte, o meglio direbbesi magnanimitá, la quale è quel tener l’animo sempre alto sui casi umani, e non lasciar che altri abbia la gioia di aver potuto anche un istante turbare la tua serenitá. Ed il Leopardi alla ferrea necessitá che lo preme soprastá in guisa, che spesso, non che risolversi in vane querele, de’ suoi mali non parla altrimenti che filosofando con tranquilla ragione, divenuto egli stesso obbietto di meditazione al suo pensiero. E le invidie e gli odii e le mah dicenze e le calunnie e le ingiurie e le malizie e le insidie, e tutto che arma uomo contro uomo non basta a vincere il suo disprezzo, o forse la sua compassione. Vendetta unica ch’è forse lecito all’uomo dabbene, e che fa la disperazione e la rabbia de’ suoi nemici: mirarli in faccia e ridere e disprezzarli. «Io non m’inchinerò, egli dice, mai a persona del mondo, e la mia vita sará un continuo disprezzo di disprezzi e derisione di derisioni,» E altrove, dopo di aver descritto con un’amara freddezza questa guerra infaticata di ciascuno contro ciascuno, beffandosi dei vani sforzi dei suoi nemici, non possibili di giungere alla sua altezza, «io sto qui, egli segue, deriso, sputacchiato, preso a calci da tutti, menando l’intera vita in una stanza, in maniera, che, se vi penso, mi fa raccapricciare. E tuttavia m’avvezzo a ridere e ci riesco. E nessuno trionferá di me, finché non potrá spargermi per la campagna e divertirsi a far volare la mia cenere in aria».