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66 | primo corso tenuto a torino: lez. ix |
Beatrice è giá indiata in vita, ornandola il poeta di ogni bellezza, di ogni grazia, di ogni virtú: la morte è una nuova trasfigurazione; Beatrice diviene una santa:
Ita n’è Beatrice in l’alto cielo. Nel reame ove gli angeli hanno pace, E sta con loro; e voi, donne, ha lasciate. Non la ci tolse qualitá di gelo, Né di calor, siccome l’altre face; Ma sola fu sua gran benignitate. Ché luce della sua umilitate Passò li cieli con tanta virtute, Che fe’ maravigliar l’eterno sire, Sí che dolce desire Lo giunse di chiamar tanta salute: E fella di quaggiuso a sé venire Perché vedea ch’está vita noiosa Non era degna di si gentil cosa. Partissi dalla sua bella persona Piena di grazia l’anima gentile. Ed èssi gloriosa in loco degno. |
La poesia pagana non ha, né può aver nulla che si possa comparare con la descrizione che fa Dante di Beatrice morente: è materia nuova che per la prima volta prende splendida forma in poesia, e giá si era animata e figurata nelle ultime estasi de’ martiri e de’ santi.
Il poeta, presago di tanta sventura, entra in un vano immaginare; e gli si parano innanzi donne disciolte, lacrimose, doloranti. La natura si ammanta di bruno, il sole gli pare che pianga, la terra par che gli tremi sotto i piedi, quando gli giunge all’orecchio la temuta novella. Qui è la morte nel suo aspetto umano, con tutta quella tristezza che l’accompagna: non è Beatrice solo che muore: ella è per Dante tutto il mondo, e la morte di lei è la morte dell’universo.
Poi mi parve vedere a poco a poco Turbar lo Sole ed apparir la stella, E pianger egli ed ella; |