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38 primo corso tenuto a torino: lez. vi


la melodia del verso, l’eleganza dello stile rendeva odore di paganesimo: la veritá e non altro che la veritá: tutto il resto era tenuto lenocinio ed artifizio. E perciò, quando l’immaginazione umana non si contentò piú di quella severa nuditá; quando, passato il primo fervore, si cercò di aiutare il sentimento per via del sensibile, la poesia fu accettata, non per sé, ma come simbolo e veste del vero. Cosi l’allegoria fu una specie di salvacondotto, pel quale la poesia potè riapparire tra gli uomini. Di qui l’indole allegorica di tanta parte de’ lavori poetici del medio evo e la falsa poetica onde venivano giudicati. Vero chiamavasi allora o un principio, o un fatto reale: la veritá poetica non era compresa. Quindi la poesia per se stessa era tenuta un tessuto di menzogne, e poeta e mentitore era creduto, come dice il Boccaccio, la medesima cosa, ed i versi erano chiamati, secondo le parole di S. Girolamo, cibo del diavolo. I poeti che si abbandonavano ingenuamente alla loro ispirazione eran detti popolari, e solo i dotti erano appellati solenni. Dante stesso, che non potè sottrarsi né a quelle tendenze né a quella poetica, chiama strani i versi che rinchiudono finzioni, nelle quali sia velata alcuna dottrina, né sa difendere la poesia che come banditrice del vero sotto il velame della favola ascoso, di modo che il lettore sotto alla dura corteccia, sotto favoloso ed ornato parlare trovi salutari e dolcissimi ammaestramenti. Nel Convito egli è il critico di se stesso, esponendo e dichiarando i principii, dai quali si è fatto guidare nelle sue poesie, e le intenzioni e i significati che ci ha voluto celar sotto. Secondo lui, la esposizione poetica conviene essere «litterale» ed allegorica. Il senso allegorico è quello che si nasconde sotto il manto della favola, ed è una veritá ascosa sotto bella menzogna; cioè a dire la poesia per lui è una bella menzogna, la quale non ha alcun valore, se non in quanto sia figura del vero. Ve ne darò per saggio la esposizione ch’egli fa del primo verso d’una sua canzone:

                                    Voi che intendendo il terzo ciel movete.