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396 | appendice |
Ché, come Sole il viso che piú trema, Cosi lo rimembrar del dolce riso La mente mia da sé medesma scema. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio Che ’l parlar nostro, ch’a tal vista cede; E cede la memoria a tanto oltraggio. Qual è colui che sonníando vede, E dopo ’l sogno la passione impressa Rimane, e l’altro alla mente non riede, Cotal son io, ché quasi tutta cessa Mia visione, ed ancor mi distilla Nel cuor lo dolce che nacque da essa. Cosi la neve al Sol si disigilla. Cosi al vento nelle foglie lievi Si perdea la sentenzia di Sibilla. |
La scienza greca, partita nelle diverse filosofie da opposti principii, riesce nella stessa conclusione pratica o morale: che l’ideale della saggezza, e quindi della felicitá, sia posto nella uguaglianza dell’animo; e l’apatia stoica non è che l’ultima e fatale deduzione di questo sistema: il qual tipo ha la sua incarnazione nella serena semplicitá della forma greca. Questa pagana tranquillitá è innalzata dal Cristianesimo all’infinito della beatitudine, che non è solo acquetamento del desiderio, ma foco d’amore, estro e furore sacro, ebbrezza di voluttá, che non cape in umano intelletto. Presso il popolo, che è il primo inconsapevole artista, i tre mondi cristiani presero determinazione e figura; e molte grottesche immagini usciron fuori de’ dannati e delle anime purganti. Ma nobilissime furono le figure de’ Santi, rappresentati come sospesi di terra, le vantisi su tra il riso degli angioli, cinti il capo di un’aureola di luce, e gli occhi al cielo. Il paradiso di Dante è conformato a questo concetto. La vita del Santo è la contemplazione, un perpetuo rapimento verso il primo amore, che a sé lo invita e tira. Ma il Dio di Dante non è né l’Olimpo nella maestá della sua forza, né l’Essere solitario tra’ tuoni e le folgori nel corruccio della sua giustizia, ma il Dio cristiano, Dio di bontá e di amore: onde procede che qui il sublime è tempe-