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esposizione critica della divina commedia 377


                                    Dante, perché Virgilio se ne vada,
Non pianger anco, non piangere ancora;
Ché pianger ti convien per altra spada.

     Guardami ben: ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
Non sapei tu che qui l’uomo è felice?
     

Nelle eloquenti parole di Beatrice grandeggia di tutta la sua dignitá lo spiritualismo cristiano, nobili e gravi nella sua risposta agli angioli; stringenti ed instanti, allorché si volge al poeta; ma di modo che in quella gravitá è pure alcun che di affettuoso; e questa veemenza non è senza decoro. La vergogna, il dolore e la confessione di Dante vi è descritta con le piú delicate gradazioni e con la piú grande veritá. E, per arrecare in mezzo alcuno esempio, la sua vergogna è rappresentata con un doppio naturale movimento degli occhi, l’uno nascente dal sentimento interiore, l’altro dalla visione di esso sentimento sul suo volto: egli non osa rimirare, non che altri, se stesso.

                                    Gli occhi mi cadder giú nel chiaro fonte;
Ma veggendomi in esso, io trassi all’erba:
Tanta vergogna mi gravò la fronte.
     

Dove si può notare qual prò egli abbia saputo trarre dal rivo, presso al quale stava, giovandosi della circostanza del luogo con quella stessa felicitá, che ammiriamo nel patetico giuramento di Pier delle Vigne.

Gli angioli, che fanno corona a Beatrice, non vi stanno indarno; anzi vi adempiono l’officio del coro antico, e la celeste salmodia che esprime pietá e compatimento stempera l’angoscia del poeta nel pianto. E certo non vi ha cosa che abbia tanta virtú di trarre la lacrima dagli occhi aridi di un infelice quanto le affettuose dimostrazioni, onde altri lo compatisce e conforta.

La natura di questo lavoro non mi consente ch’io entri in altri particolari, e giá ho detto anche troppo: aggiungerò solo che questi due canti, ne’ quali il poeta mostra un grande ingegno