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IV

CRITICA DELL’ESTETICA HEGELIANA

Dalla lezione IV, intitolata: «Mondo intellettuale allegorico»

(contenuta nel ms. autografo della Bibl. Naz. di Napoli, XVI, C. 36).


Dante credette cosí d’esser poeta; poiché la poesia per lui era il vero condito, come dice il Tasso, un semplice condimento. E quello che egli credette, lo hanno creduto critici e poeti per parecchi secoli; sicché i suoi lodatori, dal Boccaccio al Gravina, vantano la sua dottrina, cercano qui la sua grandezza. Onde nel volgo è rimasa l’opinione che l’eccellenza della Divina Commedia sia nella profonditá della filosofia e della teologia; la quale opinione rende quel libro poco popolare; perché il volgo fa un po’ come la donna, che ama volentieri parlare degli uomini eruditi, ma si annoia della loro presenza; il volgo ammira i libri dotti, ma non li legge. E poiché oggi ad una critica rimbambita, che ponea ogni valore nelle parole, è succeduta una critica astratta, che guarda principalmente al concetto e ne fa un criterio, di modo che secondo che quello è buono o cattivo, vero o falso, approva o biasima; poiché ad una vacua sonoritá è succeduta una poesia di riflessione, dove lo spirito uccide la lettera, dove il corpo è posto come un pretesto per mostrare il concetto, ed il poeta alla prima occasione te lo pianta li e si abbandona a considerazioni generali; poiché Dante è lodato di quello, che si può in lui spiegare, scusare, ma non approvare, mi si concederá ch’io insista alquanto.