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296 | dai riassunti delle lezioni a zurigo |
Lezione VII
[La satira: l’aquila imperiale e S. Pietro.]
Il singolare di questo sistema è la sua universalitá, come quello che abbraccia l’umanitá intera secondo il concetto dell’unitá cristiana. Due secondo Dante sono i fini a cui l’umanitá è ordinata; l’uno si compie in terra, ed è il vivere sociale, che conduce alla felicitá terrena: a questo provvede l’imperatore. L’altro si compie in cielo ed è la salute dell’anima: a questo provvede il papa. Amendue sono di dritto divino, amendue uguali, ciascuno nella sua sfera. Se il mondo a’ suoi tempi era in tanto disordine e dissoluzione. Dante lo attribuisce alla vacanza della sedia imperiale ed alle usurpazioni del papato nelle cose temporali. Quindi la poesia prende una forma satirica contro i re e contro i papi. L’aquila è proscritta dalla terra; Dante ne fa l’apoteosi in cielo. I santi si dispongono in modo che prendono figura di un’aquila, e l’aquila tuona contro a’ re di quel tempo. Dante però si è contentato di riempiere questa satira di allusioni e di motti in voga a quel tempo, sicché dovette far molto effetto sui contemporanei. Ma l’esposizione si rimane cruda e povera d’immagini, e salvo qualche verso felice, niuna traccia ne rimane nella memoria. La poesia comincia a spuntare ne’ suoi assalti alla Chiesa sotto la forma dell’ironia.
Ben puoi tu dir: io ho fermo il desiro Si a colui che volle viver solo E che per salti fu tratto a! martiro, Ch’io non conosco il pescator né Polo.|| |
L’ironia giunge fino al lepido della caricatura nel modo com’egli dipinge i cardinali:
Copron dei manti loro i palafreni Si che due bestie van sott’una pelle. |