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260 secondo corso tenuto a torino: lez. xii


nella poesia? Il vero ed il bello sono la stessa cosa sotto forme diverse, o si escludono a vicenda? Vi è un punto di contatto, un campo comune nel quale s’incontrano e si abbracciano? — Una quistione estetica: — Posto che la scienza possa entrare in poesia, in che modo vi può? In che modo il poeta dee lavorare e trasformare la scienza, si che ella non acquisti una forma poetica rimanendo scienza, ma cessi di essere scienza e diventi poesia? Il soggetto mi sta innanzi in tutta la sua ampiezza; ma trattarlo qui sarebbe prematuro; il suo luogo è nel Paradiso, perché qui la scienza è un momento brevissimo di tutta la vasta concezione, e nel Paradiso è esso tutta la concezione, essendo il paradiso il mondo dello spirito, della pura intelligenza, e quindi essenzialmente didascalico. Mi restringerò dunque ad esporre le forme, sotto le quali il didascalico comparisce nel Purgatorio.

Comincio a porre un principio oramai fuori di ogni contestazione: il poeta dee rappresentare, non dimostrare; e perché la veritá sia rappresentata, ella dee esser visibile, tale cioè che si offra al senso ed alla fantasia. Ma non fu questa la via, per la quale si misero i poeti al tempo di Dante, i quali, partendo dal presupposto che la poesia è vero del vero e secondo il detto di Dante una veritá nascosta sotto menzogna, si proposero di mostrare in versi questa e quella veritá; a quegli artisti quel pubblico. Il pubblico di quel tempo reputava maraviglia d’ingegno Brunetto Latini per le cognizioni sparse accumulate nel suo Tesoretto, e celebrava le canzoni filosofiche di Guido Cavalcanti, stimando leggera cosa e quasi trastullo d’ingegno le sue poesie delicatissime a Mandetta, che fanno di lui il precursore del Petrarca. E qual meraviglia di questi giudizii popolari, quando vediamo due secoli dopo il Tasso chiamar miracolo d’arte e di scienza maritate insieme le tre canzoni del Pigna, che oggi si nominano solo perché il Tasso degnò di farne un comento? Questo errore, durato in Italia fino a’ tempi del Tasso, anzi fino al Gravina, anzi fino a’ nostri giorni mediante la tradizione immobile delle scuole e de’ pedanti, questo errore avea fin dal Trecento messe salde radici: Dante stesso partecipava a quest’errore. Io non istò qui come un predicatore, per farvi il