Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/243

Lezione IX (XXXI)

[CATONE, SINTESI DEL PURGATORIO;
BELACQUA DELL’ANTIPURGATORIO]


Determinata la concezione, le nostre lezioni saranno quello che sará la poesia, la stessa concezione fecondata e sviluppata. Il purgatorio nella sua apparenza ha ben poco che lo distingue dall’inferno; e le fantasie popolari lo immaginano un luogo di pena avvolto di fiamme, e le antiche leggende ce lo rappresentano come una succursale, un’appendice dell’inferno, una specie di carcere a tempo aggiunto ad un carcere a vita, un ergastolo. Si dee a Dante la gloria di aver concepito il purgatorio, com’è nella sua essenza, contentezza nel fuoco, amore e pace nel tormento, paradiso nell’inferno, lo spirito che combatte ancora con la carne, ma giá consapevole di sé, giá sicuro del suo trionfo. La qual redenzione dello spirito per via del dolore non è in fondo che il concetto cristiano individuato nel Cristo, che non redime l’umanitá se non patendo il dolore e la morte; concetto che nel linguaggio religioso dicesi redenzione, nel linguaggio politico emancipazione o affrancamento dalla schiavitú, nel linguaggio poetico libertá. E cosí Dante va cercando libertá, cioè l’emancipazione dello spirito dalla servitú de’ sensi. E come nel primo ingresso dell’inferno, nella sua scritta, abbracciamo tutto il sublime del concetto dell’inferno; cosí nella prima soglia del purgatorio noi troviamo tutta la concezione, questa libertá dello spirito, fatta persona viva in Catone, il piú alto tipo di libertá