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il canto di ugolino 227


e non può sfogarsi per tutto un giorno ed una notte. Ma Dante non esce mai dal vero; se voi e se un padre mi dee intenerire, non dovete cancellarmi in lui l’uomo, anzi vuoisi fare in modo che io vegga il contrasto e senta il sacrifizio. In quella notte di silenzio la fame avea lavorato e trasformato i visi del padre e de’ figliuoli, e quando, fatto un poco di luce, quella vista lo coglie impreparato, in un momento naturale di obblio si manifesta l’uomo e prorompe in un atto frenetico. Momentaneo trionfo della natura, a cui succedono due altri giorni di silenzio:

                                    Quel dí e l’altro stemmo tutti muti.      

«Tutti»; prima il padre taceva; ma i figliuoli piangevano, smaniavano; ora tutti tacciono. Quel silenzio ne’ figliuoli è agonia; che cosa è nel padre? Egli non sente di morire; la sua forte natura resiste ancora; e vede mancarsi innanzi i figliuoli, e non può patire quella vista e domanda la morte, e che la terra si aprisse e che l’inghiottisse vivo. Sempre accanto al silenzio il suo commentario. Ma quando i figliuoli sono morti, si sente libero e la natura si manifesta con tanto piú di violenza, quanto piú lungamente compressa: voi lo vedete brancolare sopra i figliuoli, voi l’udite chiamarli disperatamente per nome; e tanto dolore non l’uccide, e non può morire e dee aspettare tre giorni, tre altri lunghi giorni, perché la fame faccia quello che non ha potuto il dolore. E i figli? La loro inintelligenza accresce lo strazio; essi non comprendono la loro sorte: «Tu guardi si, padre; che hai?». Dove quel «si» non è un avverbio; è un’immagine. Il padre li guardava sempre; ma questa volta il suo sguardo avea quel non so che di fisso e di stravolto che è proprio della disperazione: è qualche cosa di nuovo per loro, che li spaventa, che li fa piangere, e non sanno il perché: e commoventissimo è quell’«Anselmuccio mio», quel diminutivo che ricorda tante care gioie di famiglia in tanto mutata situazione. Qui la poesia nasce dal non intendere; lo strazio è maggiore nel frantendere. L’equivoco è sul limitare della commedia, e desta il riso quando non produca un effetto subito e potente. Qui è un