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220 secondo corso tenuto a torino: lez. vii


vuto qualche lettera in cui si contenga la tale e tale obiezione. Certo ciò spesso è vero; ma chi ha naso fino, odora talora dalla stessa esposizione, che questo non è se non una finzione poetica, per destare interesse e curiositá nel loro uditorio. Io confesso ingenuamente di non aver ricevuto alcuna lettera di questa fatta; pure non è potuta non giugnere al mio orecchio questa o quella obiezione. Alcuni, per esempio, che non sanno concepire altri comenti se non canto per canto e verso per verso, chiamano queste lezioni delle generalitá, o per usare un loro vocabolo piú espressivo, delle metafisicherie: che è la parola alla, moda, colla quale l’ingegno empirico si ribella contro l’ingegno speculativo che egli non comprende. Altri ancora piú ingenui trovano che il vero critico debba sapere evocare l’ombra del poeta, appurare da lui quello a cui pensava quando scriveva, e far nota al pubblico questa conversazione confidenziale. Ora a sentirli io non ho questo privilegio; il Dante ch’io vi spiego me lo foggio io; Dante non pensava a quello che penso io, e per dirla con le proprie parole di uno di essi esempio d’ingenuitá, Dante non sapeva di estetiche: come se il poeta ed il critico dovessero pensare allo stesso modo; e come se il poeta non fosse l’uomo colto nell’azione e passionato ed il critico lo spettatore che lo analizza. Un poeta che analizza se stesso è come un uomo che nel bollore della collera prende uno specchio e vi mira i suoi gesti sconvolti: da quel momento quella ira è caduta e quella ispirazione è finita. Questo per gl’ingenui; ma eccoti altri che hanno pretensioni piú serie, e ti fanno di quelle obiezioni, che hanno l’aria di atterrare un uomo e farlo polvere. Per esempio, io non sono italiano; io ho commesso il peccato imperdonabile di studiare il tedesco e di comprendere la scienza non solo come si trova in Italia, ma come si trova nel mondo civile. A questo ragguaglio il paese piú sapiente del mondo è quello degli Ottentotti, se vera la tradizione che capitato colá un viaggiatore quei sapientoni lo guardavano con tanto d’occhi, facendo le alte maraviglie; perché nella loro sapienza s’immaginavano che non vi fossero altri uomini che gli Ottentotti, e che tutto il mondo fosse quello che abbracciavano con l’occhio: in