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Lezione VI (XXVIII)

[DIFFERENZA TRA POESIA, SCIENZA ED ELOQUENZA
A PROPOSITO DEL CANTO DEI SIMONIACI]


Dopo di aver gittato nell’ultima abbiezione i tre papi, de’ quali discorsi innanzi, Dante tuona sul loro capo. È questa eloquenza o poesia? E innanzi tutto perché questa domanda? Certo, se noi guardiamo una statua o un quadro, se ci giunge all’orecchio melodia o concento, noi non domandiamo: — È questo arte o eloquenza? — Nella sola poesia la domanda è possibile, come quella che si vale d’un istrumento comune alla scienza ed all’eloquenza: distinte in se stesse, si toccano nel loro istrumento, si confondono nella loro espressione. Quando il pensiero cala nel marmo nel colore nel suono trova un diverso da sé, che gli resiste, e dove non può manifestarsi che colla materia vivente, cioè in una data forma, nella forma di arte. Quando cala nella parola, trova in lei niente di proprio e di resistente che gl’imponga una forma. La parola è carattere algebrico, un segno arbitrario, che non significa e non dee significar nulla; e quando i retori i sofisti e le mediocritá me la carezzano e me la lavorano e la trasformano quasi in materia musicale, non si avveggono che ne fanno un ostacolo tra il pensiero e l’anima del lettore. La parola non dee esser niente di solido, ma limpida acqua, in cui il pensiero, simile a Narciso, riconosca ed abbracci se stesso; espressione diafana, diretta ed immediata del pensiero: qualitá egregia di Machiavelli e Leopardi, sovrani artefici di

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De Sanctis, Dante.