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208 secondo corso tenuto a torino: lez. v


papato divenne un potere, e vide a’ suoi piedi prostendersi imperatori e re; ambizioso, non abbietto. A’ tempi di Dante il papato veniva schiaffeggiato in persona di Bonifazio VIII, prostituito in persona di Clemente V, e quanto perdea di potere, tanto acquistava di corruzione. Una istituzione per vivere dee avere qualche cosa innanzi a sé, in cui si allarghi e si sviluppi: toltole l’avvenire, stagna ed imputrida. Quando l’aristocrazia fu vinta e toltole ogni avvenire di grandezza e di potenza, volendo rimanere aristocrazia e non sapendo trasformarsi, si contentò di andare nelle corti a servire il suo vincitore: ne’ suoi natii castelli potea dirsi vinta: nelle corti si mostrò degna di esser vinta. Il papato, fuggitogli il potere, si abbandonò a tali licenze, che leggendole vi crediamo appena: eppure gli storici ed i cronisti ne scrivono senza ira, senza maraviglia. Ciò che vediamo e tocchiamo non ci commuove: e noi guardiamo con occhio tranquillo certi misfatti, che riempiranno d’orrore i nostri nipoti. Solo la voce del genio, Dante, il Petrarca, il Savonarola, il Sarpi, risuona nell’universale letargo, radice latente, onde germoglia piú tardi l’albero della rivoluzione.

Tale è il contenuto della risposta di Dante, che esposto da me è una base per un discorso eloquente; ed esposto da Dante è poesia. Dante dice lo stesso che un filosofo ed un oratore; il contenuto è uno; in che è posta la differenza? È un’ardua questione che sará l’argomento dell’altra lezione.